GIULIANA CARON
GLI ORIZZONTI PITTORICI NEL PRIMO RINASCIMENTO A VICENZA
La dedizione nel 1404 di Vicenza a Venezia consente un lungo periodo di pace e di prosperità. La città, che fino a quel momento presenta un volto architettonico piuttosto dimesso, viene abbellita da edifici gotici prendendo come esempio il mondo veronese e lombardo, ma soprattutto il “gotico fiorito” veneziano.
Per tutto il secolo, e in particolare dopo la metà del Quattrocento, si assiste ad un fiorire di costruzioni anche a carattere religioso. Si tratta del rinnovamento o della costruzione ex-novo di chiese e cappelle, a cui si accompagna una notevole produzione pittorica, andata per la maggior parte perduta.
È in questo periodo (1485) che Paolo e Lodovico Revese ricevono il permesso dal Vicario Generale del Vescovo di Vicenza di costruire una cappella a Brendola, dedicata all’Annunciazione della Vergine Maria, probabilmente ampliando una precedente chiesetta edificata nel 1446, come indica l’epigrafe inserita nella facciata.
A quel tempo il clima artistico della città è orientato al gotico, ma inizia ad aprirsi alle novità rinascimentali. A Vicenza opera dal 1476 al 1489 l’architetto Lorenzo da Bologna, raffinato interprete del 1° Rinascimento, che trasforma in modo capillare ed incisivo l’aspetto della città. Per quanto riguarda la pittura è attivo dal 1473 Bartolomeo Montagna la cui arte è influenzata da Giovanni Bellini, Antonello da Messina e, più tardi, dalla scuola lombarda che lo avvicinerà alle varie possibilità illusive dello studio prospettico.
Verso la fine del ‘400 il Montagna esegue una serie di versioni della cosiddetta “sacra conversazione”. Si tratta di dipinti in cui è raffigurata la Madonna tra vari santi. La pala della “Madonna e le sante Monica e Maddalena” è una delle prime e ha dimensioni quasi quadrate. In questa versione l’artista rinuncia sia al formato verticale, e perciò al motivo dell’alto trono, sia ad un’architettura illusionistica. Le figure, infatti, si trovano all’aperto e non c’è una gradazione dei piani prospettici. La disposizione delle figure è semplice, il numero dei personaggi è ridotto al fine di dissolvere l’intonazione solenne della “sacra conversazione” e di darle un’impronta naturale.
Contemporaneamente il Montagna propone una seconda tipologia di “sacra conversazione”, che si rifà a Giovanni Bellini e Antonello da Messina. Appartengono a quest’ultimo gruppo la Madonna e santi di San Bartolomeo, realizzata verso il 1485, e la Sacra conversazione, oggi a Brera, datata 1499. In queste opere sono presenti tutte le caratteristiche salienti della pala classica: il formato verticale, il trono solenne, la disposizione simmetrica delle figure. L’espressione delle figure non è rapita o in profonda meditazione, ma calma e tranquilla, mentre lo sguardo dei santi è rivolto alternativamente fuori del quadro o verso la Madonna quasi ad esortare lo spettatore alla preghiera.
Grazie all’influsso di Bartolomeo Montagna l’ambiente figurativo della città si rinnova e si apre ad influssi esterni, anche se restano sacche di resistenza avvertibili nelle opere di alcuni artisti minori.
In questi anni “cresce” lentamente la chiesa di San Bartolomeo in borgo Pusterla. Questo complesso nel 1775 venne
trasformato in ospedale e nel 1838 ristrutturato e ampliato: della chiesa ora non rimangono che l’esterno della parete dell’arco trionfale e l’abside, mentre le sculture e le pitture sono state disperse. Fu un vero atto vandalico perché “la chiesa di S. Bartolomeo, nel suo fulgore, stava all’arte locale quasi come la cappella fiorentina dei Brancacci alla pittura toscana del Rinascimento…” (Barbieri, 1981). La facciata era semplice, con struttura a “capanna”, divisa da tre lesene, coronate da archetti, sul portale c’era un oculo rotondo e sul frontone cinque pinnacoli. L’interno era spazioso a pianta rettangolare con tre absidi: una maggiore più profonda e due minori. Le cappelle laterali erano sette: tre sulla destra e quattro sulla sinistra. Su otto pale principali tre appartenevano al Montagna, tra cui il capolavoro della Madonna con il Bambino tra le sante Monica e Maddalena del 1483. Il Borenius lo definisce “un grande acquerello di un bel tono tenue”, in cui risalta la chiarezza del cielo mattutino che dà una sensazione di calma, di mistero alle cose e alle persone.
Nell’ultimo decennio del secolo la supremazia del Montagna è netta. Tra il 1496 e il 1499 esegue in San Michele, per la famiglia Squarzi, l’imponente Madonna col Bambino e angeli musicanti tra Sant’Andrea, Santa Monica, Sant’Orsola e San Sigismondo, ora a Brera. Si tratta di un’opera monumentale, con una precisa scansione volumetrica che si rifà all’impostazione architettonica lombarda.
Nel 1500 dipinge la grande Pietà del Santuario di Monte Berico, opera di scarsa ispirazione, ma di alta qualità pittorica. La sua carriera prosegue per altri vent’anni, ma la sua parabola inventiva è ormai nella fase calante.
All’incirca nello stesso periodo, verso la fine del secolo, inizia a dipingere un altro esponente di spicco della cosiddetta “grande scuola vicentina”: Giovanni Buonconsiglio, soprannominato Marescalco a causa del mestiere del padre Domenico, maniscalco di Montecchio Maggiore. Non si sa nulla sulla sua formazione, si presume che abbia lavorato come apprendista nella bottega del Montagna, visto che le sue figure hanno la forza plastica e la maestà tipica dei personaggi del maestro vicentino; ma la sua innata curiosità deve averlo portato a studiare le composizioni di Andrea Mantegna, come pure le opere veneziane di Antonello da Messina e, per ultima, la cerchia milanese del Bramante, dimostrando molta disponibilità al nuovo e una sensibilità tesa “al confronto drammatico e aggressivo con la realtà” (Sgarbi, 1980).
Una delle prime opere fu probabilmente l’affresco della Cappella Revese a Brendola, (a lui attribuita dal Puppi).Gli elementi che portano a quest’attribuzione sono l’abile dominio dello spazio, tipica del Marescalco, e la ricerca dei particolari realistici. Notevole, inoltre, è l’analogia tra l’immagine di San Sebastiano, dipinta nella lunetta a sinistra, e quella del Cristo alla colonna, disegno conservato al Louvre e attribuito al Buonconsiglio dal Borenius. Nelle altre due lunette dipinte a fresco si può ammirare al centro un Cristo in Pietà e a destra San Rocco. La costruzione dei corpi e la caratterizzazione dei volti rimanda all’affresco di Praglia (Cristo sul sepolcro), mentre l’articolazione del paesaggio prelude alla Pietà. Le lunette e le pareti della cappella sono abbellite con un fregio di foglie: l’insieme è molto leggiadro. Lo stato di conservazione dei dipinti non è buono: in alcuni punti il colore s’è staccato per l’umidità, ma, pur se sbiadita, è possibile avere un’idea della tinta originaria che doveva essere splendida.
Forse nel 1497 dipinge, per uno degli altari di San Bartolomeo, la Deposizione, opera straordinaria per potenza tragica e realismo. Si tratta di un’opera unica nello scenario pittorico veneto di fine ‘400.Tutte le figure sono in posizione obliqua e raggruppate in modo armonico: S. Giovanni e la Maddalena risaltano sullo sfondo di una grande roccia mentre la Madonna, che tiene in grembo la testa del Cristo, si stacca dal paesaggio e dal cielo azzurro cupo, tutto striato di nuvole.
La composizione ispira un profondo e angoscioso sentimento di dolore. In quest’opera molti elementi ricordano l’arte del Montagna: la configurazione del terreno roccioso, la sovrapposizione a destra del verde e del rosso, la maestosità e la forza plastica delle figure, ma questi aspetti sono interpretati in modo originale accostandoli a schemi compositivi lombardi. Il corpo del Cristo si innesta nel triangolo formato dalla Vergine, mentre S. Giovanni è ritto e ai suoi piedi si trova inginocchiata la Maddalena. Nello stesso modo sono articolati i personaggi della “Natività” del Bramantino a Milano. Inoltre le tonalità usate sono originali, dominano il grigio, l’azzurro e l’oliva, e i personaggi risultano fortemente espressivi.
Nello stesso anno dipinge la Mistica Concezione, ora nella chiesa parrocchiale di Cornedo Vicentino. La scena è molto semplice: la Madonna è in piedi con gli occhi bassi e le mani congiunte in compagnia di S. Pietro e S. Giuseppe. Alle spalle un porticato ricco di marmi multicolori e di mosaici su fondo d’oro, mentre sullo sfondo si intravede il cielo e un bellissimo scorcio di paesaggio verdeggiante. In questa pittura il Buonconsiglio, per quanto riguarda la figura della Vergine, si è ispirato alla stupenda Madonna del Redentore di Alvise (vedi anche l’uccello posato a destra sulla cornice).
Nel 1502 il Marescalco data e firma la pala rappresentante la Madonna in trono circondata dai santi Paolo, Pietro, Domenico e Sebastiano. L’influsso del Montagna è ben visibile in alcuni dettagli: dall’architettura alla lampada pendente, dalla maestà della Vergine alle pieghe del manto che improvvisamente si spezzettano; ma nell’insieme l’effetto è bellinesco. È il Bellini a rappresentare la Vergine in una cappella scintillante di mosaici dorati, a dipingere i santi con espressioni assorte e soavi e ad usare un colore caldo e ricco. L’idea del tappeto damascato ai piedi del trono e il volto intenso del S. Domenico sono, invece, un’anticipazione di motivi rispetto al Lotto. Tipico del Buonconsiglio è poi la sovrapposizione delle tendine alle spalle della Madonna.
L’ultima opera vicentina che reca firma e data è la pala del 1519 per la chiesa di San Pietro a Montecchio Maggiore, paese natale del pittore. La Vergine è in trono, tiene con la mano sinistra un libro, con l’altra il Bambino che è rivolto con movimenti naturali verso i tre personaggi di sinistra: S. Gregorio con abiti da pontefice, S. Maria Maddalena vestita molto riccamente e, inginocchiato, il committente. A destra della tela: S. Giovanni Battista, S. Caterina e dietro un’altra santa.
Ritorna il motivo del tappeto orientale ai piedi del trono e della tenda sovrapposta: una stretta vermiglia sovrasta un’altra verde più larga. Le vesti sono eccessivamente sontuose, mentre i volti più che sereni sembrano imbambolati, perduti in una fissità attonita.
Altri pittori minori, quasi tutti allievi del Montagna, sono: Giovanni Speranza, Francesco Verla e Marcello Fogolino.
Il primo esegue la bella Assunta tra San Giovanni Evangelista e San Girolamo, dove confluiscono apporti veneziani, padovani, veronesi e ferraresi. Le tinte sono tenui e chiare, i particolari descritti minuziosamente con un’ingenuità quasi “naif”.
Francesco Verla, probabilmente nato a Villaverla da cui il cognome per contrazione, dipinge la Madonna in trono con il Bambino tra Antonio Abate e Domenico ora nella chiesa di Velo.
Infine Marcello Fogolino, figlio di Francesco anch’egli pittore e amico di Bartolomeo Montagna, esegue l’Epifania, opera in cui si notano influssi centro-italici ma anche del Pordenone.
Con il 1520 si considera concluso il periodo d’oro dei “grandi pittori vicentini”. L’opera di abbellimento della città continua, ma ora ci si rivolge ad artisti “forestieri” di più decisa impronta classica. È in questo nuovo clima artistico che nel marzo del 1546 i Deputati della città approveranno a larghissima maggioranza il progetto di Andrea di Pietro dalla Gondola detto il Palladio per le Logge del Palazzo della Ragione.
Ritornando alla chiesetta Revese bisogna riconoscere che non esistono documenti che assegnino con certezza la paternità dell’architettura e delle pitture. Le attribuzioni sono fatte dai critici che elaborano complesse ipotesi basandosi sulle poche notizie documentarie finora venute alla luce e su somiglianze e analogie con altre opere datate e firmate.
L’unico fatto certo è che sia il pittore che l’architetto furono influenzati dal particolare clima figurativo del finire del secolo. Periodo in cui l’orizzonte artistico della città si amplia e all’influsso “gotico” di Venezia e “toscano” di Padova si aggiunge l’influenza del mondo veronese e lombardo. A livello pittorico assistiamo alla netta “leadership” di Bartolomeo Montagna che influenza tutti gli artisti vicentini di quel periodo con la sua incisiva capacità di organizzare le figure in rapporto allo spazio, con la forza del segno, la luminosità dei paesaggi e la maestosità delle figure. A livello architettonico, invece, predomina la figura di Lorenzo da Bologna le cui costruzioni sono caratterizzate da singolare bellezza e da un gusto decisamente rinascimentale. Elementi che, anche se in misura minore, ritroviamo nella struttura e negli affreschi della piccola chiesa dell’Annunciazione a Brendola.
Bibliografia:
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Puppi Lionello, Giovanni Buonconsiglio detto Marescalco, in Rivista dell’Istituto Nazionale d’Archeologia e Storia dell’Arte XIII-XIV, 1964-65: 297-374.
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Zeri Franco, Il capitolo “bramantesco” di Giovanni Buonconsiglio, in Diari di Lavoro 2, Torino, 1976: 58-70.