I FABBRI E LE OFFICINE

L’abitato di Brendola non scendeva a coprire la bella campagna, ma si fermava e dislocava prevalentemente sul colle. Alcuni luoghi ricoprivano un’importanza particolare come:

“PIASSETA REVESE E SALITA ALLA CIESA DE VO'”

Nello spazio antistante l’attuale casa Antonio Girardi operava come fabbro e maniscalco il padre Luigi. In ogni località del vicentino il mestiere di fabbro generico era considerato indispensabile e la loro importanza è documentata dall’esistenza, fin dal 1400, della fraglia dei fabbri con sede in Piazzetta S. Giacomo a Vicenza.

Il famoso storico G. Mantese ha pubblicato un inventario degli strumenti utilizzati nel 1500 da questi professionisti. Non vogliamo riprodurre l’elenco, ma nominare qualche arnese che tanti ricordano ancora. Erano d’uso comune per il fabbro l’incudine, le tenaje da fogo con i manici lunghi, la lunga serie di martelli, la forgia, la vasca dell’acqua, forbici e scalpelli, la mola e seghetti vari. In piazzetta mancava il maglio per battere il ferro e, per inciso, il migliore esemplare da vedere resta quello famoso di Breganze. Le lavorazioni erano le più disparate possibili, dai chiavistelli per le porte ai cancelli, alla riparazione di attrezzi agricoli, alle ringhiere per le scale.

Ma in paese la funzione principale era certamente quella di maniscalco. 
I mezzi di trasporto utilizzavano cavalli, asini, buoi e vacche. I maniscalchi svolgevano quindi la funzione dei nostri attuali meccanici, intervenendo sui ferri degli animali da tiro o da trasporto, che abbisognavano di frequenti cambi e sistemazioni, a causa dell’usura e del rapido consumo lungo le impossibili strade del tempo. Gli spostamenti, nonostante le difficoltà di viaggiare, erano frequenti anche nel passato. Basti pensare che a Brendola giungevano i raccoglitori di “Ulcamara“, (DULCA-MARA: pianta erbacea con fiori violacei e frutti rossi a bacca) provenienti da Solesino e dal basso vicentino. Trovavano ospitalità in stalle e fienili. La raccolta avveniva in inverno ed il prodotto era venduto alle farmacie per la preparazione di infusi.
Un’altra raccolta particolare che veniva eseguita nel periodo invernale era quella della morchia o deposito del vino detto potoro, utilizzato dai colorifici. La produzione in casa di grappa, eludendo una legislazione assai severa in merito, era un fenomeno abbastanza diffuso. Tuttavia non dimentichiamo che la raccolta delle vinacce o graspe, delle strasse e del ferro vecio rappresentava un lavoro per tanta gente. Le vie di comunicazione prevalentemente in terra battuta, in ghiaia o in ciottoli costituivano grossi problemi per gli zoccoli e le unghie delle bestie da soma o da trasporto. Una delle prime persone a motorizzarsi, cioè ad applicare un motore alla bicicletta fu la levatrice Linda Maran (la comareta).

Non si deve dimenticare che nel passato quasi la totalità dei parti avveniva in casa e la comare doveva spostarsi il più velocemente possibile. Il modo più normale per spostarsi era camminare con le sgalmere o con le scarpe, alla cui manutenzio-ne provvedevano Attilio Muraro (Bi-ran), Ennio Sambugaro (el scarpareto) o Toni Baldato. Tornando a Piazzetta Revese dobbiamo dire che si presentava come una vera e propria stazione di servizio dove gli animali venivano legati alle scione piantate sul muro per essere sottoposti alla ferratura. La prima operazione consisteva nel togliere il vecchio ferro e procedere alla sistemazione dell’unghia che veniva tagliata, limata e levigata. I ferri venivano riscaldati ed appoggiati sopra l’unghia con liberazione di fumo acre e di seguito immersi in acqua per evitare il rischio che potessero rompersi.

A questo punto venivano fissati con i chiodi all’unghia della bestia. Antonio Girardi interpellato sull’attività del padre inizia: 

Poi quando intorno è spenta ogni altra face,

E tutto l’altro tace,

Odi il martel picchiare, odi la sega

Del legnaiuol, che veglia

Nella chiusa bottega alla lucerna,

E s’affretta, e s’adopra

Di fornir l’opra anzi il chiarir dell’alba. 

Quando rileggo questa strofa de “Il sabato del villaggio” di Leopardi non posso non ricordare mio padre Arsenio, classe 1901, detto “Bijeto favro”. I Girardi di via Revese erano infatti chiamati “i favri”, cioè fabbri. Ricordo l’attrezzatura di quella bottega: al centro l’incudine, forgia e trapano, in un angolo la bombola d’ossigeno ed il gasometro a carburo per la saldatura.

Tutto il lavoro era manuale, tutti gli utensili erano mossi con la forza delle braccia. Tutto era ormai annerito dal fumo delle braci ardenti nella forgia, mentre il battere del martello sull’incudine era incessante. I clienti erano in maggioranza agricoltori e il lavoro consisteva nella costruzione e riparazione di attrezzature per i campi, la cantina e la stalla. Una delle attività più importanti era poi la ferratura a caldo di cavalli, asini e muli senza la quale gli zoccoli si sarebbero in poco tempo rovinati o addirittura spezzati. Dopo aver limato l’unghia veniva inchiodato sullo zoccolo il ferro rovente in modo che combaciasse perfettamente. Il vecchio registro riporta, tra il 1953 e il 1963, alcuni nomi di clienti fra cui molti riconosceranno quelli dei propri genitori, parenti o amici: Luigi Visonà, Guido Chiarello, Giuseppe Signorato, Gildo Oselon, Antonio Macia, Luigi Cam-pagnaro, Attilio Zeno, Igino Boeche, Antonio Santagiuliana, Fratelli Marana, Coca Rigolon, Angelo Bedin, Antonio Macia, Cesare Dal Monte, Urbano Roncolato, Luciano Dal Maso, Eliseo Dal Monte, Fratelli Gonella, Giuseppe Bodo, Francesco Gonzati, Francesco Fabbris, Berto Baloco, Enzo Meneghello, Alberto Ghiotto, Domenico De Cao, Rino Zerbato, Girolamo Albiero, Ice Maran, Giovanni Dal Monte, Naldo Gonzati e poi i Vacarotti, Tamiozzo, Bon, Rodighiero, Fabbris, Ziggiotto, Bozzetti, Targon. L’indicazione dei lavori eseguiti, con relativo costo, è utile per capire le condizioni di vita e di lavoro, quasi solo nei campi, di quei tempi: 

Battuto menaroto Lire 150.

Battuto gumiero Lire 300.

Fatto ciavele per attaccapanni Lire 200.

Saldato bandoto Lire 150

Saldato mantesa zolfo Lire 200.

Riparato caliero Lire 300.

Rimesso quattro ferri al cavallo Lire 600.

Saldato forca Lire 100.

Messo chiodi da ghiaccio al musso Lire 50.

Messo quattro ferri al musso Lire 700.

Riparato tubo scappamento al “Galletto” Lire 100 [il “Galletto” era un modello di moto della Guzzi].

Rimesso quattro ferri al mulo Lire 800

Tosato il musso Lire 300.

Messo due ciape nuove e due rimesse Lire 700.

L’altro fabbro del paese era Agostino Zadra con la bottega a Vo’ ed amico del prof. Franco Festival, che qui di seguito ci fornisce una precisa descrizione dell’uomo e dell’officina.

Una figura popolare alquanto nota, come cittadino probo e bravo lavoratore: fabbro, maniscalco, rabdomante, idraulico, battirame fu Agostino Zadra, detto Gustinello. Nato nel 1899, all’età di 17-18 anni si trovò a combattere nella prima guerra mondiale. Come tanti, o pochi altri, fu insignito della medaglia di Cavaliere di Vittorio Veneto. Aveva la sua bottega – officina nella casa, ora naturalmente ristrutturata, proprietà di Piero Caldonazzo, all’inizio della salita per la contrada Carbonara, al centro del Vo’. Agostino era un uomo alto e ben prestante, faccia di luna piena, baffi rossicci, talvolta trasandato nel vestire (dato anche il mestiere), di solito sorridente. Non avendo famiglia propria, viveva con parenti, il fratello Angelo, i nipoti Bortolo e Piero. Fiutava sempre tabacco profumato che offriva generosamente anche ad altri. Mite di carattere, cordialone con tutti, sempre contenuto nelle espressioni, senza cadere in volgarità, amava discutere di politica e dei fatti del giorno. In qualche modo era la gazzetta del paese. Leggeva spesso un giornale quotidiano e lo commentava da pari suo, con amici e clienti. Appassionato di storia, saggio ragionatore, conosceva fatti e curiosità della guerra e del ventennale regime mussoliniano. Lui che aveva frequentato la scuola fino alla quarta classe elementare dimostrava conoscenze tecniche e la sua filosofia era quella di tenere la mente equilibrata. Amava la sua gente e partecipava attivamente all’organizzazione delle feste religiose, civili e delle sagre paesane.

Con Gustinello, talvolta lavorava anche qualche garzone. Nello stanzone il mantice accanto alla fucina soffiava nel carbone acceso per arroventare i ferri e renderli maneggevoli. Vicino all’incudine: il martello, la mazza, poi la morsa parallela, tenaglia a bocca piena o a bocca piegata. Quando si trattava di rinnovare i ferri degli animali faceva appoggiare le zampe su uno sgabello a tre piedi. Ogni tanto Gustinello gridava mentre con l’incastro toglieva la parte dell’unghia in eccesso.

Applicava poi i ferri arroventati assicurandoli con dei chiodi già predisposti, procedeva alla limatura dei chiodi ribattuti e spesso spalmava la patina nera, come abbellimento degli zoccoli.

Agostino era anche esperto idraulico. Dalla fontana dell’Orco, sorgente naturale, a S. Vito approntò le condutture dell’acqua per le abitazioni della piccola borgata. Altrove, come rabdomante, trovava l’acqua e faceva scavare pozzi: a Lonigo, ad Almisano ed a Montebello. Molto spesso aggiustava i recipienti di rame, “i seci del seciaro, i caldieri della polenta”. La famiglia Zadra, oriunda dal piccolo paese trentino Cis, in Val di Non, si stabilì a Vo’ di Brendola verso l’anno 1904. Dentro il grande stanzone, annerito dal fumo, vi aveva lavorato prima Silverio Bonato, poi il figlio Alessandro, antenati di Tullia Bonato (la mamma della signora Tullia era una Zadra), moglie di Domenico Mantoan. Dopo i Bonato, nell’officina subentrò Bortolo Zadra, padre di Angelo ed Agostino. Angelo Zadra con i figli Bortolo e Piero si dedicò alla meccanica. La sua bottega era al centro del Vo’, quasi dirimpetto a quella del fratello fabbro. La clientela di Zadra per le bici e le moto era molto vasta e proveniva anche da altri paesi.” Dopo la seconda guerra comincia la diffusione delle motociclette e Bortolo si dedica alla ricostruzione di ex moto militari, principalmente inglesi, recuperate nei depositi post bellici. Norton, BSA, Triumph venivano rimesse a nuovo e trasformate da rudi mezzi militari in bellissime moto civili. Il padre le riparava e Bortolo le truccava… e ciò era causa di continue liti tra padre e figlio. Nel 1952 Bortolo abbandona l’officina di Vo’ ed entra nell’orbita della neonata casa costruttrice di motociclette Ceccato. Nell’officina avevano lavorato Lorenzino Muraro detto Gino Magnarisi, Mario Girardi detto Mario Fabro, Bruno Salmistraro detto Piero Canna, Antonio Grigato detto Toni Gnocco, Arcangelo Paganin detto Pessata.

Annalisa Ghiotto, a proposito di trasporti racconta che Massimiliano Muffarotto, nato nel 1869, abitante a Vo’, suo bisnonno, la cui figlia Luigia fu la madre di suo padre, faceva di professione il carrettiere. Portava abitualmente dei carichi di calce da una fornace di Montecchio Precalcino a Vicenza con un carro trainato da tre cavalli. Un giorno si addormentò sul carro durante il ritorno da Montecchio Precalcino a Vicenza, cadde e fu travolto dal carro medesimo. I cavalli, che erano abituati ad una sosta a Vicenza presso un’osteria, arrivarono all’osteria anche senza conducente, portando ugualmente il carico. L’oste, conoscendo bene il carrettiere e preoccupato dell’arrivo del carro privo del conducente, fece la strada a ritroso e lo trovò nella strada morto, schiacciato all’altezza del petto dalle ruote.

Nel 1955 Giovanni Girardello, a soli ventun anni, prelevava la bottega di Zadra dopo aver lavorato, proveniente da Altavilla, al Pedocchio per tre anni ed aver frequentato una scuola serale per disegnatore meccanico. Parliamo a questo punto di attività meccanica artigianale che soppianta la mansione di fabbro e di riparazione di attrezzi agricoli.