PRESENTAZIONE
Un’analisi delle abitazioni rustiche, per quanto limitata entro un ristretto ambito geografico come quello proposto in questa preziosa pubblicazione curata dall’Associazione Laboratorio Brendola, oltre a presentare semplici comparazioni tipologiche, schematizzazioni distributive o tecnico-costruttive, tipizzazioni funzionali o estetiche, offre anche, per chi li sappia cogliere e sviluppare, ottimi spunti per una valutazione di una “cultura agraria”. Una cultura attuatasi attraverso lo sviluppo della società contadina, la distribuzione dei suoli e delle colture, l’economia e, più in generale, lo svolgersi della vita di una comunità alquanto isolata e autonoma; una società che si è lentamente evoluta nel tempo e che ha finito per incidere profondamente sull’assetto del territorio e sul paesaggio agrario, anche attraverso il sorgere di una ben definita “architettura spontanea”.
Nelle campagne, pur caratterizzate da sempre da una profonda inerzia storica, quasi una lenta resistenza passiva al succedersi degli eventi, ogni sopravvivenza acquista un carattere più vivo, anche perché le destinazioni originarie permangono e le sovrapposizioni non sono mai così profonde da nascondere il substrato delle memorie, che hanno contribuito all’evolversi di una particolare forma o al carattere di un insediamento.
La manifestazione di originalità culturale da parte di una comunità locale si è sempre esplicata in un complesso di forme molteplici difficilmente scindibili e definibili sulla base di correnti concetti di categorie culturali. Tra queste, l’espressione religiosa, il più delle volte interpretazione dei motivi cristiani o addirittura pagani secondo moduli di una cultura contadina legata ai cicli naturali e biologici; il modo rituale e concreto di appropriazione dello spazio, lo sfruttamento del territorio, l’uso e la trasformazione dell’ambiente, la costruzione, la modifica, la conservazione stessa dei manufatti, la cultura del lavoro.
Rilevare, come è stato fatto in questa occasione, l’esistenza di una diffusa ricchezza architettonica come espressione di popoli e di comunità, rurali ed artigianali, in condizioni di autonomia culturale, induce pertanto ad una riflessione, che va ben al di là del dato materiale, pur rilevante, di individuare beni ambientali e storici di grande importanza. Si va con essa alle radici del processo di creazione e di continuo adeguamento da parte dell’uomo del proprio spazio di vita, quando essa era gestita, pur in condizioni difficili, in prima persona e costituiva il teatro non di una battaglia contro e sulla natura per un dominio a questa esterno, ma di uno stretto rapporto, costante e mutevole ad un tempo, dove la componente umana, parte integrante della natura, tesseva con essa un calibrato sistema di equilibri.
Tra le caratteristiche comuni alla gran parte delle espressioni architettoniche delle culture popolari vi era, innanzitutto, l’assoluta aderenza alle caratteristiche del luogo. Una profonda conoscenza e coscienza ambientale dava così luogo ad una “progettazione”, che si poneva in stretto e organico rapporto con gli elementi naturali, “fisiologici” del sito.
Tali elementi erano i dislivelli, le pendenze, le sporgenze e le pieghe del terreno; in secondo luogo il clima, inteso sia come difesa dalle intemperie, sia come sfruttamento dell’energia che da esso poteva derivare; i materiali da costruzione poi, elementi essi stessi dell’ambiente, come le pietre e i sassi raccolti nei campi o estratti da piccole cave locali; i tronchi degli alberi più robusti per le travi dei solai e dei tetti; la terra che componeva l’intonaco e dava un colore omogeneo alla dominante del paesaggio; la calce ricavata ancora dalle pietre della collina e bruciate nelle calcare tra i boschi; la stessa polvere delle strade bianche macinate dalle ruote dei carri, a sostituire la sabbia e, nelle situazioni più antiche e povere, la terra dei campi impastata con l’acqua e con la paglia.
Il metro comune agli insediamenti “popolari” o “spontanei” era anche la dimensione “a misura d’uomo” degli spazi, l’accortezza con cui questi venivano previsti, il sapiente studio per evitare ogni spreco, il massimo utilizzo produttivo degli stessi, l’attenta orientazione. Ancora, vi era “progettazione” delle varie funzioni (residenza, stalle, fienili, rustici, servizi), in modo integrato e tale che, correlando le une alle altre, si giungesse a sfruttare di ciascuna gli elementi di positività a favore dell’insieme.
Queste antiche case, a volte commoventi nella loro decorosa semplicità e misere nella loro forma, ma pur sempre di una conseguente onestà nella volumetria, nelle partiture dei prospetti e nell’attento uso dei materiali, così da apparire sostanza e partecipazione stessa della terra su cui erano sorte, dimostrano ancor oggi una profonda sincerità nell’espressione della condizione umana in relazione a quelle elementari necessità, per le quali furono costruite e che hanno perfettamente soddisfatto per secoli.
Un tempo manifestazione di diffusa creatività interna alla cultura materiale non scritta dei popoli, autodefinizione del proprio spazio di vita in rapporto alla propria identità, l’architettura dei contadini, degli artigiani, del popolo minuto era di per sé monumentale affermazione, pur nella sua estrema povertà di mezzi, di ricchezza espressiva, di organicità allo stato e ai ritmi della natura, soprattutto di solidarietà tra eguali.
Questo universo di entità sociali e culturali diversificate, dai mutamenti lentissimi nei secoli, questo patrimonio di storia popolare giunto quasi fino a noi, ha iniziato il suo rapido declino con l’avvento della rivoluzione industriale e con gli sconvolgimenti socio-economici conseguenti e oggi si va rapidamente dissolvendo.
Tutto il complesso collinare berico rivela in modo esemplare avanzati e devastanti processi di degenerazione del tessuto sociale ed economico e di alterazione del vecchio assetto territoriale, che in alcune realtà, come quella brendolana, manifestano, sia per la vicinanza alla città, sia per l’appetibilità residenziale del luogo, una dirompente celerità.
Per la salvaguardia di questo prezioso patrimonio culturale è allora necessario porre in essere interventi quanto mai rapidi e mirati, iniziando con l’ampliare la consapevolezza del problema e consegnando testimonianza di questa sofferente civiltà. In quest’opera di sensibilizzazione culturale si è attivata ancora una volta e con pieno merito l’Associazione Laboratorio Brendola, sviluppando un tema che vuol essere anche di auspicio per la riscoperta di una purezza e di una semplicità da salvaguardare e attentamente difendere, anche e non solo come espressione architettonica. Il mero ricordo archeologico di una civiltà scomparsa non ci può soddisfare, mentre le incentivazioni possono essere molte e diverse, e non soltanto perché oggi la “vita sobria”, tanto decantata da Alvise Cornaro nel ‘500, può offrire attrattive maggiori che all’epoca del suo autore. Occorrono azioni profonde, strumenti concreti e soprattutto una precisa volontà tesa a valorizzare le nostre campagne, di cui le case rurali costituiscono punti salienti che vanno ormai degradandosi come l’ambiente che le circonda.
E’ necessario tuttavia fare presto, troppo grande è il patrimonio di cultura e di civiltà che i secoli ci hanno provvisoriamente consegnato, come troppo grande appare la brutalità e la voracità dei processi degenerativi in atto. E’ necessario agire ora: più tardi, potrebbe essere troppo tardi.
Alberto Girardi