IL CASTELLO DI BRENDOLA

Le nostre colline, i promontori, i degradi a solivo che destano ammirazione ed incantano tanti visitatori sono gelosi custodi, testimoni, sotto il manto erboso o sotto un modesto strato di sedimenti della storia vera, della quotidianità di chi visse ed abitò le nostre contrade in tempi remoti. Folle di uomini presenti in tempi diversi, ma tutti testimoni delle nostre origini e del nostro passato vivono ancora nella storia della nostra comunità.

L’associazione Laboratorio Brendola ritiene che dibattere, discutere, comunicare informazioni, trasmettere notizie sia un’attività culturalmente e socialmente utile Abbiamo, di conseguenza, raccolto notizie storiche sul Castello e preparato questo piccolo opuscolo a disposizione di tutti.

Il Castello

Nell’immaginario popolare, il Castello, sito remoto e spesso inaccessibile, è luogo di vicende straordinarie, di fatti inconsueti e di avvenimenti decisivi. Fa da sfondo a tante fiabe della nostra infanzia, lusingando, con i suoi scaloni e le grandiose sale illuminate, i pensieri verso paesi ignoti e strade meravigliose; verso noi stessi.

Ammalia con le avventure medievali di Cavalieri e di Dame; di merli, feritoie e ponti levatoi; incanta con i racconti di caccia e i canti dei Menestrelli; sospinge la fantasia del ragazzino verso imprese epiche, solitarie e vittoriose. In contrapposizione a tante immagini dei mass- media, non si cancella, con il tempo, ma resta nel panorama dei desideri umani, simbolo dei sogni più veri, delle rinunce più brucianti.

A Brendola un Castello si leva, alto e severo, sulla sommità di una collina, a guardare la Pianura. Venendo da Lonigo e figgendo gli occhi verso l’ondulato dispiegarsi dei Berici, tutti poggi e insenature, il viaggiatore scorge, davanti a sé, al di sopra della linea dell’orizzonte, quasi in trono, un robusto torrione che eleva, sulla sottostante struttura di incastellamento, la sua malandata presenza: una sfida. La conformazione del suolo in colline degradanti, la collocazione della Chiesa Arcipretale e lo srotolarsi dell’ abitato lungo il costone di displuvio, definiscono il paesaggio in un’aura solenne e dolce a un tempo. La visione da cartolina appaga, incanta e si fa anche seme di curiosità. Perché?

II Castello e tutto il Colle intorno dormono avvolti in un manto di oblio e quasi di mistero. Tra la Rocca e l’ubertoso paese disteso ai suoi piedi, sembra regnare un distacco, un diaframma di Kafkiana memoria.

Come nel Castello dello scrittore tedesco, il Colle non si lascia scrutare, nasconde il suo vero essere, serba con pervicacia i suoi segreti. Varcare il recinto del Maniero non é lecito: legato al Paese da oltre mille anni di storia, il manufatto presiede all’impenetrabilità del Sito, quasi metafora onnipresente dei rapporti umani.

A Brendola, il Castello é sempre stato una presenza buona, amica. Fino agli anni cinquanta, quella torre quadrata, sbocconcellata e solitaria, simile a un dente cariato, illuminandosi ai primi raggi del mattino, fungeva da orologio e da custode per tanti bambini che, recandosi a scuola a piedi, scendevano e salivano colli. Le imponenti mura di cinta, con i severi barbacani, i cortili interni, gli anfratti si proponevano per scampagnate domenicali, ricche di sorprese. Come non ricordare le mura prospicienti la Valle sul Rio Spesse, incoronata di monoliti rotondi in pietra tenera? Il Castello si apriva sui silenzi di basalto sopra lo scarantare del torrente. Laggiù c’erano l’Orco, l’Omo salbego, le Anguane e il Salbanelo.

Storia e “storie”, racconti e leggende ruotano intorno al rilievo, come a tutti i Castelli della Provincia. Ne fanno testimonianza gli scritti di molti Uomini illustri quali Maccá, Morsolin, Cabianca, Lampertico. L’ultima fatica con risultati pregevoli é stata quella di Don Mario Dalla Via. Ma il conoscerne la storia e le leggende non ha risvegliato in noi Brendolani una curiosità vera e costruttiva, in grado di stabilire con la Rocca un legame meno superficiale del passato. A differenza di tanti Castelli del vicinato, il nostro sembra bruciare ancora del fuoco dissacratore del 22 luglio 1517, dell’oblio ad ogni costo. L’intervento risanatore degli anni ’80, ha sicuramente evitato un ulteriore dirompere dell’usura sugli elementi antichi del torrione: il dentista ha otturato la carie. Ma gli interventi ipotizzati, sull’onda dell’effimero interesse, non hanno raggiunto mai il livello di progetto; e sul Castello é tornato il silenzio.

Da allora la zona della Rocca e il tempo hanno stabilito uno strano sodalizio: il secondo le garantisce riservatezza e quiete tra l’intrico del verde ; la prima cede in cambio, a poco a poco, tutta la sua ricchezza in pietre, portali, gradinate.

Negli ultimi mesi, un fulmine malandrino se l’é presa con i mattoni di ristrutturazione della torre. Bello spirito, o critico d ‘arte, la scarica elettrica si è accanita sull’ assetto d’angolo; la pioggia ha fatto il resto. Cosi alcuni mattoni “stan come color che son sospesi” lassú, tra cielo e terra, in attesa; come i Signori Maran, nelle case di sotto. Un Castello che se ne va un poco al giorno e un Paese che non se ne accorge. Magari del Castello viene buona l’immagine, come emblema; magari per sapere dei castelli medievali, si va in gita scolastica altrove. Ci sono tanti modi per “non entrare nel Castello”; anche quello di lasciarlo dirupare, spegnersi nell’indifferenza.

L’ultima mia visita al Summa Ripa l’ho compiuta ai primi di ottobre dello scorso 2004, nell’opulenza dell’autunno. Visto dal Lavo, l’imponente costruzione quasi un monolito, si mostrava in tutta la sua regalità, cui contribuivano i verdi ontani, le gialle acacie e la rossa uva spina. Al pianoro del Castello, alcune persone in visita, bloccate dal divieto d’accesso ai cortili interni della Rupe, profondevano in ammirazione per i declivi sottostanti contigui e continui, fino alla depressione del Palú. Allora per un attimo ho chiuso gli occhi. Davanti a me stava la Collina nel suo fervore di vita, nella ricchezza di cinte murarie e di case, dal Lavo alla Chiesa; altre cinte verso l’altura; infine la Rocca incastellata con le torri e le mura merlate. Gente andava e veniva, lavorava, viveva; non gente estranea: nonni lontani, i nostri avi. Al di là della ricostruzione fantasiosa e delle mie opinioni personali, la storia della Nostra Rocca e della Collina che la ospita, é la storia di Brendola.

La struttura del Castello ha ancora molto da raccontare alle nuove generazioni; e il rilievo, con i suoi declivi terrazzati custodisce una storia ancora più lontana nel tempo, ma non meno interessante, di uomini, fatiche e conquiste, tra vallette amene e fertili, a solatio, ricche di reperti archeologici. La Valle sul Rio Spesse, sul versante sottostante la Rocca, ospita, in aggiunta, specie floricole rare e racchiude un vero e proprio giardino botanico naturale.

Sognare, anche per un attimo, fa bene.

Un Archeoparco sulla Collina del Castello, con percorsi pluritematici, per cui convivano e rivivano immagini di epoche diverse, forse costituisce un sogno,ma anche il più bel regalo che Brendola potrebbe fare a sé stessa; e un biglietto di visita per incantare chi viene da fuori.

Quando si pronuncia il nome BRENDOLA, il pensiero corre subito al suo castello, e probabilmente da quando uomini del passato si stanziarono in questo luogo per dedicarsi prima alla caccia e alta pesca, vivendo in capanne di paglia o in grotte come questa che si trova a 50 m. dal castello, e poi all’agricoltura ed al commercio, (ritrovamento di numerose selci e ceramiche in terracotta intorno al castello), segno eloquente della presenza e dell’attivitá di uomini vissuti molto lontano nel tempo, dal neolitico passando per i periodi del bronzo, del ferro, per l’era romana fino ad arrivare al medioevo.

Tra il XII° ed il X° secolo avanti Cristo sulle pendici del Colle Summa Ripa-Castello Brendola si insediano gli antichi Veneti e lì vi rimangono a lungo. Nel IV° e III° si va delineando una progressiva perdita di identità nella cultura veneta locale a causa della pressione delle genti celtiche. I Celti Cenomani invadono la pianura padana nel 388 a.C., ma era già documentata da corredi sepolcrali la loro presenza a Montebello Vicentino. Per i Veneti, sullo scorcio del III° secolo si profila un nuovo interlocutore: il popolo Romano, cui i Veneti danno un aiuto in occasione della guerra romana contro i Celti Boi. E’ il 225 a.C.. L’alleanza sarà destinata a diventare collaborazione e poi integrazione del territorio Veneto e dei Veneti nell’ambito romano. Nel II° e I° secolo a.C. Veneti e Cenomani si alleano con i Romani contro gli Insubri ed i Boi. Dopo la discesa di Annibale nel 218 a.C., i Romani intervengono a sud del Po lasciando il Veneto alleato ancora libero e federato.

“Summa Ripa” dovette essere punto importante di riferimento allorquando Roma, costruendo la via Postumia (148 ac.), portò la sua civiltà e lo sviluppo fin quassù ( si vedano anche i numerosi insediamenti nel nostro territorio e nei territori confinanti). Tutto il traffico proveniente da Milano, Verona e dalla bassa padana da un lato e da Vicenza, Treviso, Padova, Aquileia, in sintesi dal nordest dall’altra ed il traffico delle vallate del Chiampo e dell’Agno necessariamente confluiva nella strettoia formata dai Lessini da una parte e dai Berici dall’altra.

“Summa Ripa”, posta sul lato dei Colli Berici di tale strettoia, costituiva un punto assai importante di osservazione e di segnalazione: nonché un punto sicuro di presidio, un grosso masso di pietra calcarea dai fianchi a picco da ogni” parte tranne che da settentrione.

Luogo di rifugio e punto strategico assai importante dovette essere nel periodo delle invasioni dei barbari che segnarono la fine dell’impero romano (476 dc.) e come tale non dovette essere trascurato dai Longobardi se, su quella località favorirono il sorgere della prima Chiesa plebana dedicata al loro santo protettore, S. Michele La costruzione dei castelli era prerogativa regia, cioè di quegli imperatori tedeschi divenuti padroni d’Italia dopo il dominio dei Carolingi (744 – 888 dc) subentrati ai longobardi.

Nel X° secolo si affermò nel vicentino il dominio feudale dei Vescovi proprio attraverso quei castelli che erano, (come il nostro) simbolo di unità, stante la grande anarchia imperante.

E’ verso l’anno 1000 che si cominciano ad avere documenti scritti riguardanti il castello, documenti che ce lo presentano come proprietà dei vescovi vicentini, donato dagli imperatori. In un diploma dell’imperatore Ottone III viene citato il nome di Brendola e la concessione a favore del Vescovo Vicentino Girolamo del castello. Nel 1084 abbiamo un altro diploma dell’imperatore Enrico IV di stanza a Verona che conferma al Vescovo Ezzelino il possesso del castello ed altri riconoscimenti. Certamente in questo periodo si annoveravano le presenze di tre siti di rilievo:

Scarantello, Bregolo e S.Marcello.

  • Nel 1108 una fazione di Vicenza, scontenta del governo e della tirannide del vescovo Torengo alleatasi con il Conte Uberto Maltraverso si impadronisce del Castello. Il vescovo Torengo con l’aiuto dei Da Vivaro recupera la rocca e torna al potere con l’aiuto dell’imperatore Enrico V. La sua permanenza a Vicenza dura poco e deve tornare a Brendola nel castello ben fortificato con ampliamento della cinta muraria e spazi atti ad ospitare una guarnigione stabile.
  • Nel 1184 su mandato dei Conti e dei Vivaresi viene ucciso il vescovo Beato Giovanni de’ Surdis, detto Cacciafronte ed il suo assassino, si rifugia nel nostro castello, che diviene proprietà del nuovo Vescovo Pistore. Abbiamo un documento del 1187 in cui il Comune vende su incarico del vescovo Pistore due campi di bosco nella zona di Arcomagna.
  • Nel 1194 il Vescovo Conte Pistore avendo contro la città, aizzata da Ezzelino II da Romano e capeggiata dal podestà Jacopucio Bernardi, fugge di notte e si rifugia nella nostra rocca. Da qui tenta la riconquista della rocca di Altavilla in mano ai suoi avversari il ConteUguccione Maltraverso e il Conte Guidone d’Arzignano. Le conseguenze sono nefaste: la distruzione della rocca di Altavilla e la successiva morte del Pistore.
  • Nel 1215 Il vescovo Zibiolo ripara a Brendola
  • Nel 1227 Vicenza viene occupata dagli Ezzelini ed il Vescovo Manfredo trova rifugio a Brendola
  • Nel 1239 grande riunione dei vassalli del Vescovo nella Rocca.
  • Nel 1250 Ezzelino III da Romano occupa il castello dove rimane per dieci anni incassando tributi e balzelli.
  • Nel 1262 iI Vescovo Bartolomeo , eletto subito dopo la scomparsa di Ezzelino, convoca nella piazza presso la Rocca di Brendola, un’assemblea e nomina sei cittadini del paese per far ordine sulla giurisdizione Vescovile. Al vescovo vengono riconosciute le proprietá della Rocca e del Castello, oltre a tutti i diritti comitali sull’intero distretto. Nella medesima vicinia,vengono elencate tutte le prerogative del Vescovo sul territorio, tutti i diritti e tutte le proprietá. Alla Chiesa di San Michele viene riconosciuta la decima. In un atto successivo, il Vescovo Bartolomeo affitta l’intero complesso al Comune. Agli abitanti di Brendola, il Castello servirá come deposito delle derrate nelle”canipe”, al prezzo di due denari veronesi per canipa .
  • Nel 1266 Vicenza cade sotto il controllo Padovano dei Da Carraro. II Vescovo Bartolomeo si ritira periodicamente a Brendola, dove trova rifugio e riposo nella Rocca ( nonché qualche boccale di vino ussolaro e i buoni ” marsoni” -ghiozzi- dello Scaranto Marzabó).
  • Negli anni 1281, 1283, 1284 ed alcuni mesi del 1285 vi soggiorna sicuramente. Poi parte per Roma, in cerca di aiuto contro il “governo”cittadino. Qualche storico attribuisce al Vescovo da Breganze, la costruzione del Palazzo Vescovile, grazie alle frequenti visite e soste nel Castello. L’investitura, quindi, pur se riconosciuta dall’imperatore, é effettuata e sostenuta dal Papa, anche per gli aspetti politici ed economici.
  • Nel 1287 Papa Martino IV deplora i gravi danni e le ruberie perpetrate ai danni del Vescovo Bernardo Nicelli(1270-1287), (che ha sostituito il Beato Bartolomeo da Breganze)” in castris locis et villis” e fa riferimento in particolare, alle razzie nel castello di Brendola, dove il Vescovo ha cercato rifugio dagli sgherri Padovani. Le parole di biasimo si ripetono anche con il Papa Nicoló IV che lamenta le rapine ai danni del Vescovo Pietro Saraceni.
  • Negli ultimi mesi del 1311 l’imperatore EnricoVII con il plenipotenziario Aimone, vescovo di Ginevra, entra in Vicenza. Al suo seguito cavalcano Alboino e Cane della Scala cui fa seguito un piccolo esercito di soldati veronesi. Comincia cosi il dominio degli Scaligeri sulla Cittá Berica e su tutto il territorio vicentino e cessa quello Padovano. I Padovani perdono cosi l’acqua del Bacchiglione, che i Vicentini fanno defluire altrove.
  • Nel 1312 il Castello Vescovile di Brendola subisce l’asportazione dei beni mobili. II vescovo, Altegrado di Lendinara, fugge a Padova, costrettovi dall’ostilitá del Comune cittadino, e del Vicario imperiale; si spegnerá a Padova nel 1314, senza piú tornare a Vicenza. Papa Clemente V protesta indignato per l’atto vandalico e si rivolge all’linperatore Enríco VII di Lussemburgo e al Vicario Imperiale Vanni Zeno da Pisa, lamentando l’offesa recata al Vescovo Altegrado da Lendinara “nel Palazzo interno al Castello di Brendola”.(danneggiamento). Intanto Cangrande I della Scala, che dal 1312 é divenuto il terzo Vicario Imperiale di Vicenza, esercita un potere dispotico. I Padovani non nascondono la loro ostilitá e incitati da Altegrado, preparano la riconquista mentre Cane fíacca Vicenza e Provincia con lotte di logoramento.
  • Nel 1313 Memorabile intervento predatorio. Nel giugno di detto anno i Padovani marciano contro il Conte Scaligero. Raggiungono Montagnana e

Cologna, dove lasciarono solo rovine; poi si dirigono verso Verona. Qui la Cittá resiste e i Padovani, furibondi e per niente sazi di prede e morti, “fanno vela” verso Vicenza. Attraverso la Via Postumia raggiungono Montebello. Ma qui li attende Cangrande. La battaglia semina distruzione nelle campagne di Brendola e Meledo. L’esercito padovano assale Brendola e dá fuoco all’abitato. L’incendio della Rocca non é sicuro, ma probabile. Bruciano anche Montecchio Maggiore e il castello della “Bastia”, che tuttavia non va distrutto. Poi, attraverso lo “Scaranto Strabuzzeno”, gli assalitori raggiungono Barbarano e tornano a Padova.

  • Nel 1335 Brendola, roccaforte giurisdizionale, economica e patrimoniale dei Vescovi di Vicenza, si allea con Montecchio Maggiore, Montebello e Arzignano contro gli Scaligeri. Guida i ribelli Giacobino d’Arzignano con il Vescovo Biagio da Lionessa. Per sfuggire a Mastino della Scala, il Vescovo si rifugia in territorio brendolano. Qui, impadronitosi del Castello, allontana il presidio di soldati vicentini, fedeli al Signore di Verona, vi si serra, e, a titolo personale, detiene il maníero e lo gestisce fino a circa il 1343. La ribellione, d’altronde, gode l’appoggio politico-militare-fínanziario delle due alleate Venezia e Firenze: il Vescovo chiede l’aiuto del Capitano Pietro Rossi Parmigíano della Lega Veneto-Fiorentina. Corre voce che il prelato, in quel di Brendola, non conduca vita morigerata e che , anzi, sotto la sua guida, il Castello si trasformi in un covo di ladri, cortigiane e assassini. La voce, senza dubbio esagerata, alimenta tuttavia le dicerie popolari che vi ricamano storie. Nel frattempo la giurisdizione viene officiata da un rappresentante vescovile. L’esercito veneto-fíorentino, guidato dal Capitano Pietro Rossi Parmigiano, interviene in aiuto del Vescovo Biagio da Lionessa. Lo Scaligero viene sconfitto e deve scendere a patti. Si giunge cosi alla Pace di Venezia nell’anno 1339.
  • Nel 1343 pertanto, si registra, al Castello di Brendola, la presenza dei Da Carrara di Padova. Brendola e il suo Castello, tuttavia conservano una propria indipendenza e autonomia. Qui risiedono funzionari e rappresentanti(gastaldi) vescovili, che operano a nome del Vescovo Biagio da Lionessa. “Dopodiché trattó con lo Signore de Padua de darghe la Rocha de Brendula et gettó in lo focho tutte le scritture della giurisdizione che aveva il vescovado in la Villa de Brendula le quali erano sulla Rocha.”(C. Quarti: Lettera aperta a messer lo Vescovo di Villabalzana) L’assenza da soggezioni esterne dura circa quattordici anni (1335-1347) fino alla successiva cessione della Rocca e del Paese all’egemonia Scaligera (1347). Gli Scaligeri, dopo la pace di Venezia, intervengono sulle strutture murarie dei Castelli di Arzignano, Montebello e Montecchio. La cortina muraria viene rinforzata, i siti vengono resi piú confortevoli e adatti a ospitare permanentemente un drappello di militari. II Castello di Brendola, invece, subisce poche modifiche architettoniche: una é costituita dalla manomissione della porta d’ingresso, con l’uso di mattoni in cotto. D’altronde i della Scala vantano diritti sulla zona: la Rocca di Arzignano è lasciata loro in eredità dal Conte Sigonfredo nel 1322; quelle di Montebello e Montecchio Maggiore per trasferimento di competenze tra il Comune di Vicenza e il Podestà scaligero di Vicenza; quella di Brendola per trattativa, dopo lotte sanguinose. Dopo l’intervento Scaligero, nella zona tra i Berici, i Lessini e la Valle del Chiampo, si ergono ben cinque Castelli: uno ad Arzignano, Montebello e Brendola; due a Montecchio Maggiore, sulle rovine dell’antica “Bastia”: sono i castelli “scaligeri”. Nel Castello di Brendola, come in altre zone importanti del territorio vicentino (Marostica, Schio, Barbarano, Brendole, Arzignano ecc.), a gestire l’ordine e a mantenere efficiente la Rocca, presiede un Capitano, o ufficiale.
  • Nel 1353 gli Scaligeri con Mastino II° della Scala conservano il controllo su Vicenza e il suo distretto. Tra i castellani vanno ricordati Ambrosio Soardo (1387-1404), Ambrosio(quondam) Betini e Ser Guidone e il figlio Francesco. Ben presto, tuttavia, i Capitanati vengono sostituiti dai Vicariati, giurisdizione di minor estensione e con compiti civili di primo grado.
  • Nel 1377 gli Scaligeri hanno il merito di aver organizzato il territorio in ben 13 Vicariati civili. La struttura organizzativa si mostra molto efficiente e dura per molto tempo: cessa infatti con il trattato di Campoformio nel 1797. Brendola é sede di Vicario, diventa quindi Vicaríato e comprende, sotto la propria competenza: Lapio, Fimon, Pilla, Arcugnano, Grancona, Meledo, Villabalzana, Longare, Valmarana, Pianezze, Altavilla. Il Vicariato trova sede amministrativa nella Villa del Vicario, sul Colle San Marcello e continua, come istituto, anche sotto la dominazione Viscontea.
  • Nel 1387 abbiamo a Vicenza come a Brendola Gian Galeazzo Visconti che muore nel 1402 dando inizio alle “ Dedizioni” a Venezia
  • Nel 1413 il castello di Brendola viene assalito dagli Ungari e danneggiato gravemente come quello di Arzignano e Montebello
  • Nel 1436 i Brendolani avevano accumulato riserve e scorte all’interno del Castello che il Piccinino, al servizio dei Milanesi, prima di abbandonare il territorio vicentino, saccheggiò completamente. I comandanti veneziani Sforza e Gattamelata accampati a Montebello dopo la battaglia inviarono Manelmi per verificare se l’accusa di favoreggiamento aveva un fondamento o i brendolani erano stati vittime del nemico. Il Doge Francesco Foscari attraverso il notaio Matteo Scolari, non solo perdona ma concede l’esenzione delle tasse per due anni. Viene anche richiesta alla popolazione la manutenzione del Castello.
  • Nel 1513 la Rocca, durante l’occupazione asburgica, viene tolta ai Veneziani e data in mano agli Spagnoli, che il comandante Morellione Spagnolo abbandona spontaneamente l’anno successivo.
  • Nel 1517 L’incendio del Castello. Venezia non dimentica il pericolo corso durante la guerra della Lega di Cambrai I castelli sono un punto di forza ma possono diventare inespugnabili e pericolosi in mano nemica. Ordina pertanto lo smantellamento delle Rocche fortificate. Il Castello di Brendola viene fatto incendiare da Bartolomeo d’Alviano il 22 luglio 1517. Lo storico cosi afferma: Geronimo Marola da Vicenza, con molti compagni, per nome de San Marco bruxa el castello de Brendola e quello de Montecchio Mazore perché li Spagnoli, nè Todischi non ge posse stare né abitar dentro”.
  • Nel 1814 dopo secoli d’abbandono, il Castello torna a interessare lo storico. Ecco Maccà riferire nella sua “Storia del territorio Vicentino”, di aver visto durante la sua visita il Castello di Brendola “assai in cattivo stato”, alcun, pezzi di mura e una torre “benche non intera”, poco piú che un rudere.
  • Nel 1850 riferisce il Morsolin che all’incirca a quest’epoca vengono effettuati scavi ricognitivi con la scoperta di scheletri umani, spingarde , balestre, cannoncini e casse di polvere da sparo.
  • Nel 1934 il Comune acquista l’immobile dal signor Isidoro Bedin. La famiglia di questi possiede il sito dal1909. Alla famiglia Bedin restano gli spazi ai piedi della cinta muraria e l’antico tracciato che conduceva all’ingresso. (Vedi “L’acqua: conquista di una comunità)
  • Nel 1940 durante il secondo conflitto mondiale, la ricerca di oggetti preziosi, allettata dalla leggenda di un tesoro nascosto e di un cunicolo segreto inducono alcuni Brendolani ad effettuare scavi “fai da te”, non autorizzati. Vengono alla luce alcune monete, altre armi; viene anche ispezionato il vano esistente all’interno della Rocca.
  • Nel periodo 1980-89 la Rocca ha subito un intervento di consolidamento strutturale con l’impiego di mattoni in laterizio, malta cementizia e travi in ferro.

Il Castello, attualmente, versa in grave e generale stato di abbandono.

UNA PROPOSTA:
lavori da attuare per il ripristino parziale del castello, alcuni urgenti, altri da realizzare nel tempo.

L’ immagine del castello diroccato, negli ultimi decenni, é stata utilizzata da varie associazioni; sportive, culturali, ricreative, creditizie, ecc. perché é visto come simbolo di longevità, di forza, di rifugio e di storia passata del paese, tuttavia il castello e là! Un rudere abbandonato e nulla più. Riscopriamolo e facciamo in modo che serva alla nostra comunità.
Sarebbe necessario, utile e interessante riprendere l’opera di ristrutturazione iniziata negli anni 80 e limitata al solo consolidamento di parte della torre, della porta d’entrata e con l’edificazione di una muraglia di contenimento nella parte ovest del piazzale.

Ora per recuperare questo sito come futuro luogo turistico, archeologico, culturale e sociale, sarebbe opportuno eseguire questi lavori:

  • la sistemazione del muro di cinta elevandolo all’altezza di circa un metro e mezzo (come era negli anni 40); ora questo muro é in condizioni pessime, addirittura in alcuni punti manca totalmente con grande pericolo per i visitatori, considerato lo strapiombo esistente in quel punto.
  • la chiusura con un portone di solido ferro dell’entrata sulla stradina che conduce al piazzale superiore, per far si che non si possa assolutamente accedere al castello se non per quel portone.
  • inoltre l’eliminazione totale dell’edera ed il taglio delle piante attorno alla torre, che distruggono la muratura. Attualmente il Comune provvede solo a tagliare l’erba nel piazzale superiore.
  • una illuminazione piú adeguata anche ai lati del castello che guardano verso le zone di S. Valentino e Goia.
  • in un secondo momento la rimozione di tutto il materiale che si é accumulato sul piazzale in modo da arrivare alla base dello stesso, cosi da vedere l’eventuale selciato e le fondamenta o murature delle abitazioni interne. Operazione che in questi 500 anni non si é mai realizzata. Le pietre recuperate per lo scavo del piazzale (e saranno molte) possono anche servire alla costruzione della mura di cinta di cui sopra.
  • successivamente, per la parte che riguarda la torre, la posa di una piccola cancellata che accompagni le scalette che portano all’ingresso della torre stessa, la sistemazione della muratura dalla parte nord, il rifacimento della copertura della torre secondo l’ipotesi originale. La posa dei solai dei piani di alloggio nella torre stessa e delle scale tra un piano e l’altro in modo da poter visitare la cima della torre e godere del panorama a 360°.
  • la realizzazione di un portone in legno sul lato est sulla porta d’entrata originale del castello in considerazione del pericolo esistente per la mancanza della strada di accesso originale, o in alternativa la costruzione della vecchia strada di accesso, purtroppo distrutta fin dal 1849 dall’allora proprietario per ricavarne pietra da costruzione. Sarebbe bello poter rifare anche il selciato che dal Castello porta alla Chiesa di S.Michele cosi come era in origine,( ora ne restano solo dei piccoli tratti) e risistemare la parte nord del muro di cinta dove esiste ancora un tratto di camminamento delle guardie.
  • risistemare e levare i detriti dalla vasca cisterna che serviva come riserva d’acqua; certamente i castellani si servivano principalmente della fontana del lavo che dà ancora acqua molto copiosa e che si trova 500 m, piú in basso nella contrà omonima.

La sistemazione dell’area castellana permetterebbe di rivalutare il castello alla stregua di quello di Montecchio Maggiore e di altri più famosi, di adibirlo a svariate funzioni turistiche, culturali e sede di altre manifestazioni come la riedizione della festa dell’uva (che si faceva negli anni 60), oltre al godimento del sito panoramico. Mentre stiamo lavorando apprendiamo di un piccolo stanziamento per il recupero da parte dell’Amministrazione Comunale: speriamo che questa pubblicazione stimoli ulteriormente l’impegno.

Bibliografia

Cabianca e Lampertico , Storia di Vicenza

Morsolin Bernardo, Ricordi storici di Brendola

Mantese Gaetano, Memorie storiche della Chiesa Vicentina

Maccà G. , Storia del territorio vicentino

Perbellini G., Castelli Scaligeri

Poloni Laura, La Rocca dei Vescovi

Visonà,Storato, Rossi, Dalla Via, Uno sguardo su Brendola

 

Ecco come doveva essere il castello secondo una ricostruzione di Giorgio Marenghi.

Ogni Brendolano è invitato a fornire suggerimenti, idee, iniziative e proposte utili scrivendo all’Associazione Laboratorio Brendola ed attivandosi presso qualsiasi ente istituzionale in grado di realizzare il recupero.

 

Rielaborazione a cura di Visonà Giuseppe su testi di Murzio Arcangela e Zimello Igino. Stampato in proprio.

Brendola Febbraio 2006