Contrada Cerro
Ora siamo arrivati in contrà Cerro. Qui, da un incrocio di strade si dipartono, cominciando da destra, via Revese, via Carbonare, via Dante, via Montegrappa e la stessa via Roma.
Gli abitanti di questa piazza erano, sempre sulla destra, Rodighiero Valentino, con i figli Tullio, Lino e Lucia, detti Pincia, i quali gestivano un negozio di alimentari e avevano del terreno intorno all’abitazione e verso S. Valentino.
Davanti alla chiesa (ora incompiuta), confinante con la strada, esisteva un villino della famiglia di Gianbattista Cita; negli anni ’20 venne aperta lì la farmacia del dr. Rizzi con tanto di iscrizione arcuata su una tabella ovale sopra la porta; successivamente, nel 1937, venne acquistata dalla parrocchia ed adibita ad asilo infantile, quando venne venduta la sede del vescovado in via Chiesa al sig. Ugo Veronese. Il villino Cita , verso gli anni ’60, fu demolito totalmente per dare spazio sia alla futura chiesa nuova con piazzale che alla strada.
La farmacia venne spostata sulla palazzina a fianco del municipio dopo la piazza.
Sabato 3 ottobre 1931 in questa contrada fu benedetta e posata la prima pietra della futura chiesa, voluta tenacemente da don Francesco Cecchin per unire tutto il paese in un’unica parrocchia e lasciare la chiesa di S. Michele per un eventuale santuario dedicato a S. Bertilla Boscardin. Morto don Cecchin, nel 1948, il suo sucessore, don Francesco Carollo non vide l’opportunità di continuare l’opera di costruzione, con le conseguenze che si vedono ora.
Attraversata via Carbonara, nell’angolo con via Dante vi era la casa di Bisognin Gaetano, detto Togno Recoaro, e dei figli Renata, Antonio, Renato. Questo stabile era un grosso complesso ad uso di fattoria, con stalle per il bestiame e casa padronale, con la facciata all’interno della corte che guardava verso la frazione del Vò. In antico ne erano proprietari i conti Valmarana.
Sull’angolo verso la piazza vi era un’osteria con gioco delle bocce sul retro, sulla facciata era scritto trattoria, al centro, poi vino caffè, gestita dal sig. Maran Oreste (contadino) con la moglie Turregota Maria (levatrice).
Donna molto ammirevole, sempre pronta in caso di bisogno nel suo compito, minuta di statura, ma molto dinamica, al contrario di suo marito, persona introversa e seria, che si interessava solo del bestiame che allevava.
Mi racconta la sig.ra Muraro che nel 1929, anno e giorno in cui è nata, ci fu una grande nevicata. Al momento del parto, suo padre corse a chiamare la levatrice, ma a causa della neve alta fu costretto a prenderla e portarla sulle spalle, dalla contrà Cerro fino a Via Tovo, e poi riportarla a casa sua.
Dove ora esiste un bar-pizzeria, scendendo verso via Dante, si trovava un grande portone con l’arco bugnato, dove abitava Maran Oreste e nella corte interna abitava il fratello Renato, che faceva il contadino, con la moglie Giannello Adele e i figli.
Tornando in piazza si trova ancora un palazzotto con porticato centrale a colonnine, qui abitava dentro la porta a sinistra la famiglia del farmacista sig. Rizzi con moglie e quattro figlie, in quella a destra c’era la Farmacia.
Girando l’angolo dello stabile, verso via Montegrappa, vi era l’abitazione della famiglia Nicolato Bruno e dei fratelli Luigi e Adele, detti Pacagnei ; la casa era stata costruita verso gli anni ’20 ed adibita a osteria, con il gioco delle bocce, e primo centralino per servizio telefonico del paese.
Quando ricevevano una telefonata da fuori paese, dovevano farlo su appuntamento sicché uno della famiglia doveva andare dalla persona richiesta per avvisarlo di essere pronto a rispondere all’ora prefissata. Sulla facciata dell’edificio era stampata in grandi caratteri per tutta la lunghezza della casa osteria nuova al cerro.
Volgendosi a sinistra si ammirava il bello stabile del municipio; in questo periodo del primo 900 era di proprietà del conte Piovene, fu acquistato successivamente dalla comunità di Brendola per dare più spazio alle scuola nella sede di Via Roma.
La nuova sistemazione ebbe come risultato il trasferimento dell’ufficio delle regie poste italiane sulla sinistra dove preesisteva l’antica torre colombara, nella parte centrale trovò posto la sede del municipio e sulla destra la sala del dopolavoro, che serviva da teatro, cinema e altro. Anche qui vi era la scritta sul muro, a grandi caratteri “dopolavoro di Brendola”.
Nel 1917 fu costruita la nuova strada che dal Cerro, passando per contrà Lavo, portava ai confini con Perarolo e Arcugnano detta la strada militare, serviva come retrovia di passaggio alle truppe italiane in caso di arretramento del fronte.
Al centro della piazza, l’11 dicembre 1922, fu inaugurato il monumento ai caduti in guerra. L’arciprete Cecchin scrisse: “Imponente corteo di autorità e di popolo con la banda musicale in testa, il Generale Evaristo Mussolin, comandante di Corpo d’Armata in guerra, con il petto costellato di decorazioni, nativo di Brendola il quale pronuncia il discorso in onore ai caduti”. Dopo la santa messa solenne l’arciprete pronunciò la sua omelia, seguita dalla benedizione del monumento.
RICORDI
Ricorda la sig.ra Muraro Fernanda che nel 1941, stando nella piazza del Cerro, vedeva la costruzione della chiesa con l’armatura tutta in legno e in particolare ricorda che per innalzare la statua di S. Michele dovettero predisporre un’impalcatura di due metri ogni settimana e con le corde e carrucola issare la statua priva delle ali, che furono sistemate nel 1942.
Un altro ricordo che ha la signora Muraro Fernanda è quello che, prima di andare al catechismo per prepararsi alla prima comunione, don Cecchin ordinava a tutti i bambini di circa 6 -7- anni di andare ogni mattina nella priara (cava della pietra sopra S. Valentino) a prendere una pietra e portarla dove era la chiesa in costruzione, e rassicura che tutti lo facevano molto volentieri.