Dalla Chiesa verso il Castello
Ritornando in piazza e prendendo a sinistra della chiesa per andare al castello, fatta una serie di scalini si arriva all’inizio della via che porta al Castello. Troviamo subito sulla sinistra il negozio del barbiere e sarto, Lovato Lino. Sulla destra, dove vi è una corte davanti e un complesso di case molto antiche, abitavano tre famiglie: sulla prima porta stavano le sig.ne Bolzan Cesira e Maria con il fratello Carlo, maestro elementare.
Lo stabile adiacente e contiguo apparteneva alla famiglia Zimello Gaetano, l’edificio fu ereditato dai figli Scipione e Igino; vi si trovava un’osteria con trattoria e generi alimentari, la rivendita di tabacchi n° 1, e successivamente si aggiunse anche la rivendita di stoffe, mercerie, articoli per la caccia, giocattoli e tanto altro.
Sul muro della facciata vi era scritto in grande: sopra tabacchi – sale, al centro salumeria, sotto caffè – vino; in alto su tutto, al centro, stava lo stemma reale. Sullo spigolo del muro vi era anche stampigliato il volto di Mussolini.
Gaetano, morto nel 1899, lasciò tre figli in tenera età: Igino, Scipione e Teresa sicchè la vedova, Bisognin Carolina, dovette affittare il tutto al Sig. Gaianigo; l’attività fu ripresa dai figli Igino e Scipione, reduci della prima guerra mondiale, nel 1920 circa. Al secondo piano dello stabile, che si raggiunge con una scalinata a lato, abitava Castegnaro Gaetano, custode dei bagni pubblici, coniugato con la maestra Maran, avevano una figlia, Zaira.
Ritornando su via Castello, sempre nello stesso nucleo di case, si trovavano altre due famiglie: quella di Bolzan Isidoro e della moglie Ida Caldonazzo, detta Ida Denara, che faceva la camiciaia. Insieme abitava il fratello Bolzan Oreste, fabbro di professione, il quale si dilettava di pittura e di musica, aveva dipinto, in particolare, il sipario del teatro parrocchiale, raffigurante il poggiolo di villa Rossi, alla Carbonara, con un bel pavone e il panorama di Brendola sullo sfondo.
Nell’altra abitazione stava una vecchietta, la sig.ra Arpalice detta Pace.
Continuando il percorso, dopo duecento metri, si trova ancora oggi un gruppo di case a metà strada fra la chiesa e il castello, qui si entrava in una grande corte. Subito a sinistra, in una piccola casetta, c’era il forno per il pane del Sig. Bolzan, che ai primi del ’900 serviva le contrade limitrofe. Di fronte alla corte vi abitava la famiglia di Bolzan Pietro, detto Piero Carletti, con genitori e sorella, suonava il clarino nel corpo bandistico di Brendola.
A fianco c’era la casa delle tre sorelle Crestanello: Letizia, Silvia e Felicita, erano tutte donne che erano a servizio domestico fuori Brendola.
Superata la prima corte, sul dietro vi erano altre tre abitazioni, tutte unite in fila: nella prima abitava Rigolon Guglielmo, detto Memo Canela, con moglie e figli, nella seconda Zordan Emilio con la moglie Bolzan Teresa e nella terza un’altra famiglia.
Ritornando sulla strada verso il castello, dopo 30 metri c’era l’ultima casa modesta di un’anziana signora detta la Cecona. Era sempre vestita all’antica, con abiti lunghi fino a terra ed un berretto di lana fatto a uncinetto in testa; alla domenica si metteva davanti al cancelletto d’entrata con alcuni vasi di vetro pieni di bomboni ( piccole caramelle e liquirizie), o frutta dell’orto e piccole patate cotte che vendeva ai bambini che passavano per andare alla messa o a dottrina.
Festa dell’Uva
Un momento particolare per la contrada era costituito dalla festa dell’uva, che negli anni 30 – 40 si svolgeva nel piazzale del castello: si partiva dalla piazza della chiesa con tre-quattro carri, trainati da buoi, addobbati con frasche di vite o edera, su cui stavano damigiane o botti di vino, si andava per la strada del Lavo fino al castello a festeggiare la buona annata della vendemmia, accompagnati dalla banda musicale di Brendola. Dopo il concerto di quest’ultima si mangiava e beveva in allegria.