Inizio di via Roma

Scendendo in via Roma, sulla sinistra, all’inizio di una stradina ora abbandonata, c’era la casa con sasso a vista di Zerbato Silvio, faceva il falegname, più tardi subentrò con la falegnameria Cunico Giuseppe.
Proseguendo dopo la fontanina dell’acqua c’era la casa di Gennari Guglielmo (capomastro edile), vi abitava con la moglie e i figli Antonietta, Giuseppe e Albino. Nella corte seguente a sinistra si trovavano altre due abitazioni della famiglia Trevisan e di Pozzan Arcangelo, becchino, marito di Milani Elisa e padre di Guerrino e Alfonso.
A fianco della corte che confina con la strada di via Torino (ex strada morta della chiesa), in una casa molto bella con sassi e mattoni a vista, abitava Rodighiero Francesco detto Cicchino con la sua famiglia, poi trasferitosi a Milano.
Via Torino era la vecchia via che portava alla contrà Cerro terminando in via Tovo, (ora via Firenze) all’altezza della villa Piovene. Nel 1850 circa, venne fatta una nuova strada più rettilinea, come si vede ora.
Continuando in via Torino, sulla sinistra vi era la sala del teatro, posto di ritrovo culturale e di svago della gioventù brendolana; ci si riuniva con lo scopo di formarsi nel vero spirito cristiano e alla onesta vita sociale con delle lezioni intorno a vari argomenti, per esempio: di igiene, di agraria, di alcolismo, di aritmetica ecc.
Si ritrovava qui per le prove anche il corpo bandistico di Brendola, diretto dal conte Felice Piovene, ex sindaco, con 50 orchestrali, tutti in divisa scura con il cappello di piume bianche, erano molto caratteristici.
Questo gruppo bandistico, dopo la morte del conte Piovene, avvenuta nel 1903 andò via via scemando tanto che nel 1924 c’erano solo 37 suonatori, diretti dal maestro Rigolon Alberto; verso gli anni ’50 vi erano una ventina di musicanti e poi il tutto ebbe fine.
Nel teatro si rappresentavano commedie, con attori brendolani, serviva anche per le varie “adunanze”; dietro alla sala c’era il campo da bocce.
Durante la seconda guerra mondiale venne occupata dai tedeschi e adibita a officina militare e deposito di armi. Finita la guerra furono riprese le rappresentazioni teatrali organizzate dai paesani sotto la direzione della parrocchia. Dopo gli anni ’60 venne venduta al falegname Cunico Giuseppe e il teatro fu trasferito nell’ex sala del dopolavoro, al Cerro, lì oggi si trova la sala del consiglio comunale.
Sopra la sala del teatro, con accesso a mezzo di una scala in pietra, negli anni ’40 c’era la sede della Cassa Rurale Artigiana. Sotto la scalinata c’erano i servizi igienici pubblici.
Dalla parte opposta della strada, sulla destra, abitava il maestro Fusari, con la moglie e la figlia Adele, la quale sposerà Viale Angelo, che aveva il negozio di alimentari e mulino in contrà Revese.
Erano proprietari anche di un vigneto a fianco della casa.
Più avanti di 20 metri in una corte a sinistra, che iniziava con una costruzione possente, con barbacane alla base e con muri di metri 1,5 ( forse era una colombara), vi abitava, come ora, la famiglia di Cenghialta Gino e fratelli.
Questi vivevano andando a raccogliere delle erbe medicinali, partivano con la bicicletta, andavano lungo i fossati del paese e nei prati incolti a raccogliere queste erbe, le mettevano ad essiccare nel cortile e dopo raggiunta una certa quantità, una ditta farmaceutica le veniva a prelevare. Erano: erba limonata, erba menta, camomilla, ecc.
Ritornando sulla strada ancora a sinistra vi era la casa di Binato Silvio, sposato con Frealdo Maria (Maria sacrestana – sarta), successivamente continuò il suo lavoro il figlio Carlo.
Qui la strada termina perché è stata chiusa verso gli anni ’80, quando il Sig. Pelizzari Lorenzo, avvocato di Vicenza, acquistò villa Stefani, che si trova subito dopo sulla destra, con entrata in via Roma.

Nella villa abitava la sig.na Stefani, anziana e sola. Lo stabile verso ovest era in stile liberty con un’ampia e bella terrazza, un piccolo parco su via Roma e del terreno dalla parte opposta.
Tornando ora in via Roma, all’altezza della villa suddetta si prosegue e subito dopo, sempre sulla sinistra, in una casa squadrata e robusta, con un piazzale sul davanti, ora chiuso da una cancellata, vi era un’abitazione con forno e rivendita, poi sede della caserma dei carabinieri.
L’Arma si insediò a Brendola nel 1923; sul retro dell’edificio erano collocate le celle della prigione, erano quattro stanzette di un metro e mezzo per due con un tavolaccio per dormire e la porta aveva una finestrella verso l’alto di cm. 20 X 20 con inferriata e al di fuori un grosso catenaccio con chiave.
Arrivando ad un incrocio con via Firenze, sulla sinistra inizia la parte retrostante di villa Piovene; di fronte c’era uno stabile che al tempo della prima guerra mondiale ospitò la sede per la scuola di un reparto di fucilieri e successivamente, negli anni ’20 con l’avvento del fascismo, venne ristrutturato e adibito a bagni pubblici, il piazzale retrostante era usato come solarium per i bambini delle scuole elementari lì vicine; era anche campo di addestramento per i giovani Balilla, dove venivano fatti i giochi ginnici, le parate e l’addestramento militare con tanto di alzabandiera nel cortile.
Tutti erano vestiti con camicia bianca e pantaloncini neri, con in testa il berretto nero del fascio e moschetto a tracolla e le ragazze con camicia bianca e gonna nera.
Racconta la sig.ra Muraro Fernanda che frequentavano il solarium tutti i ragazzi di Brendola, compresi quelli di Vò, che prendevano il sole e facevano esercizi ginnici cantando inni patriottici . Durante la colazione o merenda, prima di ammainare la bandiera, venivano dispensati del pane e delle mele dentro dei grossi cesti e la maestra, una certa De Guio, che abitava a Vò, dava le più grosse a quelli della sua contrà e le più piccole a quelli di Brendola causando una rabbia tremenda; si sappia che si andava al solario solo per poter mangiare, e ancora oggi dopo 70 anni dice: “la faccenda delle mele ce l’ho ancora qui sullo stomaco”.
Sopra a questo piazzale, collegati da una stradina e da una lunga scalinata, vi erano il comune e le scuole elementari, trasferite qui dalla piazza della chiesa verso il 1922.
Dentro lo stabile delle scuole abitava la bidella, sig.ra Virginia . Adiacente alle scuole, salendo dalla stradina, a sinistra vi era l’abitazione del segretario comunale: sig. Zordan, di fronte, con una corte sul davanti si trovava la casa di Spera Iseo (Iseo Fermo), falegname.
Questi, verso gli anni ’50, viveva solo e malgrado avesse superato gli 80 anni continuava a lavorare nella stanza a piano terra, che era piena di legname, di ragnatele e polvere tanto che non si poteva quasi passare; tramite una scala a pioli si saliva al piano superiore dove si trovavano la cucina e la camera.
Si racconta che quando si feriva un dito o altro, per guarire andava a prendere le ragnatele e le avvolgeva sulla ferita.
A fianco abitava la sorella Elisa con il marito sig. Troncon. Proseguendo, a destra, sempre attigua, ma dentro ad una cancellata c’era la casa di Beltrame Luigi, cursore e incaricato a riscuotere il prediale, con la moglie Penzi Lucia (maestra), la sorella Ina e i figli Pierluigi e Dino. Queste abitazioni confinavano a nord con via Madonnetta ora via Asiago.
Negli anni ’30, per sopperire al bisogno di nuove aule, si costruì un altro stabile poco più sotto del precedente, con sei aule molto spaziose e i servizi.