CORTE BENEDETTINA
Detta anche “Corte Grande” o “Corte Targon”, dal nome dell’attuale proprietario. Il termine “Corte” deriva dalla dominazione longobarda ed indicava il luogo in cui si esercitava il potere militare, giudiziario e amministrativo. Si distingueva tra Corte Grande e Piccola. In quella grande risiedeva il Gastaldo, alto funzionario nominato dal re, con la funzione di amministrare il potere.
Durante il Medio Evo i Benedettini si insediarono nel territorio di Brendola.
La loro presenza è attestata già nel 1091.
All’epoca della loro venuta, parte del territorio di Brendola era paludoso: l’acqua era trattenuta dalla striscia di terra che congiunge il Vo’ ai Ponticelli di San Vito, più alta rispetto alla pianura di S. Valentino per i depositi di materiale alluvionale provenienti dalle esondazioni dei torrenti Alpone e Agno-Guà. I Benedettini, il cui motto era “ora et labora”, erano impegnati a rinnovare la società spiritualmente, ma anche materialmente, facendosi promotori di grandi opere di bonifica delle zone paludose. Per questo motivo costruirono il loro convento, chiamato “Antica Corte Benedettina”, ai piedi dei colli e di fronte alla palude.
Anche se le prime bonifiche vennero iniziate dai romani, furono soprattutto i Benedettini a compiere i maggiori lavori con la costruzione delle varie “degore” cioè fossati di scolo, che fecero emergere le prime fertili terre coltivabili. Nelle mappe del 1500 e 1600 si trovano spesso descritte la degora antica e la degora delli frati.
Il monastero dipendeva dai Benedettini di San Felice di Vicenza i cui diritti sui possedimenti, risalenti agli anni precedenti il Mille, si mantennero fino al 1806 quando, con l’arrivo di Napoleone, vennero soppressi gli ordini religiosi e confiscati i loro beni. La proprietà passò prima ai Cita, poi ai Valmarana, quindi ai De Bortoli e, infine, agli attuali proprietari: i Targon.
L’antico convento, adattato alle esigenze dei vari proprietari, ha subito varie manomissioni ed è costituito oggi da una serie di stanze e corridoi che si aprono su una loggia con balaustra in pietra. A testimonianza dell’antica sede religiosa resta il piccolo campanile a vela posto sulla sommità del tetto.
Poco lontano da questo complesso sta una cappella con la canonica e il campanile, denominata Corte Piccola Benedettina o Chiesa Vecchia. La chiesetta, intitolata ai santi protettori Vito, Modesto e Crescenzia vissuti nel terzo secolo dopo Cristo, fu donata ai monaci dall’antica famiglia dei Chiarelli.
Si sa che dopo il Mille la chiesa era assoggettata alla pieve di San Felice di Altavilla e dipendeva dal “quarterio de domo” (la cattedrale di Santa Maria Maggiore) di Vicenza. Andata in parte distrutta, la cappella venne restaurata intorno al 1504 e ampliata, come a tutt’oggi si vede, nel 1856. Conteneva nell’altare maggiore una pala del 1600, attribuita alla mano del pittore veronese Cignaroli, raffigurante i santi patroni e che ora si trova nella parrocchiale di S. Vito. Successivi restauri furono eseguiti nel 1931 e negli anni ’60, quando fu venduta agli attuali proprietari (Pabst). Sul retro della piccola abside sono state rinvenute tracce di un piccolo cimitero.
THE BENEDICTINE COURT
It is also called “Large Court” or “Targon Court” from the name of the present owners. The word “Court” comes from the time of the Lombard domination and it used to indicate the place where military, judiciary and administrative powers were exercised. It was divided into Large and Small Courts. The Gastaldo (Steward), a high official appointed by the king, resided in the Large Court and he had the task of administering the power. During the Middle Ages the Benedictine Friars settled in the territory of Brendola. Their presence is documented already in 1091.
At the time of their arriva,l one part of the territory of Brendola was swampy: the water was held back by the strip of land which joins Vò with the Ponticelli (Small Bridges) of San Vito, which, because of the deposits of alluvial material coming from the floods of the Alpone and the Agno-Guà streams, was higher than the flat land of San Valentino. The Benedictines, whose motto was “orat et laborat” (pray and work), engaged in the spiritual as well as the material improvement of society and they became the promoters of important reclamation works of the swampy lands. For this reason, they built their convent, called the “Ancient Benedictine Court” at the foot of the hills in front of the swamp.
Even though the first land reclamations were begun by the romans, it was the Benedictines who did most of the work with the excavation of various draining ditches, which yielded the first arable lands. In the maps of the 16th and 17th centuries we often find the description of the ancient ditch and the friars’ ditch.
The Monastery was under the jurisdiction of the Benedictines of San Felice of Vicenza, whose rights on the properties, dating back before the year 1000, were held until 1806, when, with the arrival of Napoleon, the religious orders were suppressed and their possessions were confiscated. The property was acquired first by the Cita family, then by the Valmarana, then by the De Bortoli and finally, by the present owners: the Targon family.
The ancient monastery, adapted to the requirements of the various owners, underwent several modifications and today it consists of a series of rooms and corridors, which open up on a gallery with a stone balustrade. A small gable belfry on the rooftop testifies to the ancient religious place.
Not very far from this complex there is a chapel with a parsonage and a belfry. It is called the Small Benedictine Court or Old Church. The small church, dedicated to the Saints Vitus, Modestus and Crescentia, who lived in the 3rd century DC, was donated to the friars by the Chiarelli family.
It is a known fact that after the year 1000 the church was subjected to the Parish of San Felice of Altavilla and that it was under the administration of the Cathedral of Santa Maria Maggiore of Vicenza. After it was partially destroyed, the chapel was restored around the year 1504 and it was then enlarged in 1856, as can still be seen in the present day. In the main altar it contained a painting of the sixteen hundreds attributed to the painter Cignaroli from Verona and it represented the patron saints. It is now in the parochial church of San Vito.
Further restorations were undertaken in 1931 and in the 60s, when it was sold to the present owners (Pabst). Traces of a small graveyard have been found behind the small apse.