DALL’UNITA’ D’ITALIA AL 1900
TALETE:
La speranza è il solo bene comune a tutti gli uomini
L’acquedotto viene definito una conduttura sotterranea o in superficie per portare acqua da un luogo all’altro; complesso delle opere adibite alla raccolta e distribuzione di acqua potabile o destinate a usi domestici, agricoli, industriali.
Fra i più antichi acquedotti di cui siano rimaste tracce si possono citare i canali costruiti in Mesopotamia e in Egitto; i Greci usarono anche condotte sotterranee e su archi, ma le più grandiose opere di questo genere compiute nell’antichità si debbono ai Romani. Gli acquedotti romani captavano l’acqua di una sorgente, generalmente montana, per mezzo di cunicoli che si addentravano nella roccia o con serbatoi che includevano le polle. All’inizio della condotta erano inseriti bacini di decantazione (piscinae limariae); l’acqua veniva quindi avviata alla condotta (specus), costruita in muratura, piombo o terracotta e generalmente posta su archi per ottenere, attraverso la pendenza del canale, la pressione necessaria per la distribuzione. La profondità del canale variava da 1,30 a 2 m, la larghezza da 0,50 a 1,20 m, l’altezza dal suolo da 7 a 20 m, e in alcuni casi raggiungeva i 30 m. Per aumentare la pressione talvolta si ricorreva a condotte forzate con l’impiego di sifoni. L’acqua raggiungeva cosi il serbatoio (castellum), da cui si diramavano tubi di bronzo calibrati (calices) per la distribuzione. II primo acquedotto romano, completamente sotterraneo, fu costruito nel 312 a.C.; il primo ad arcate è quello dell’aqua Appia del 272 a.C. Tra i più famosi ricordiamo gli acquedotti. di Segovia, Siviglia e Valenza; il Pont du Gard presso Nimes e l’a. Claudio a Roma.
I moderni criteri per la costruzione di un acquedotto. sono sostanzialmente diversi da quelli del passato; al semplice canale si é sostituita la condotta sotto pressione, che può superare dislivelli notevoli ed é generalmente sotterranea. Per compensare le resistenze incontrate dall’acqua nel suo deflusso che danno luogo alle cosiddette perdite di carico, ossia a una progressiva diminuzione di pressione lungo la condotta, è spesso necessario ricorrere all’uso di pompe. Lo schema completo di un a. comprende: le opere di presa, la condotta principale adduttrice, i serbatoi e la rete di distribuzione. Le opere di presa servono all’immissione dell’acqua nella condotta principale; l’intera zona attorno alle sorgenti viene opportunamente bonificata, con l’eliminazione delle possibili cause d’inquinamento. Nel caso di falde sotterranee, la presa si realizza in genere mediante pozzi e il sollevamento delle acque fino alla quota desiderata avviene con elettropompe. Quando vengono captate le acque di fiumi o laghi occorrono complessi impianti di depurazione. Le condotte principali sono di diametro variabile da pochi centimetri a qualche metro, secondo la portata richiesta e la pressione disponibile. In Italia la portata media richiesta é compresa tra 80 1/giomo per abitante nei piccoli centri e 700-800 l/giorno nelle grandi città. I diversi tronchi di una condotta possono essere isolati mediante saracinesche. Il diametro delle condotte viene scelto in modo che, per la portata stabilita, la velocità di deflusso dell’acqua sia di 1 m/s, in quanto velocità superiori sarebbero pericolose per le strutture, mentre a velocità inferiori si avrebbero sedimentazioni. I serbatoi servono ad accumulare l’acqua destinata a essere immessa nella rete di distribuzione, permettendo una portata variabile nella distribuzione urbana secondo il fabbisogno, pur mantenendo costante la portata della condotta adduttrice. I serbatoi possono essere interrati o sopraelevati. La rete di distribuzione, specialmente nelle grandi città, é molto complessa, generalmente a maglie e anelli chiusi in modo da limitare gli inconvenienti dovuti a interruzioni accidentali. • La conduzione dell’acqua dà luogo a un rapporto di servitù fra due o più fondi (dominante e serventi) che può costituirsi volontariamente o per imposizione di legge. Il contenuto della servitù é il diritto di far passare l’acqua attraverso il fondo altrui, e rispettivamente il dovere di concedere il passaggio. Se coattiva, la servitù é un potere, fondato sulla necessità dell’acqua per bisogni vitali o per usi agrari e industriali.
Indice
ACQUEDOTTO PIOVENE
La storia del nostro acquedotto, quasi necessariamente, deve partire dalla storia brendolana scritta da Bernardo Morsolin nel 1879, “Brendola, Ricordi storici”, che rimane il punto di riferimento per ogni approfondimento.
Il Morsolin così scrive:
“ Pupilla, se m’è lecita l’espressione catulliana, delle ville di Brendola è la villa un tempo dei Cappellari ed ora Piovene.
La villa de’ Piovene, celebrala per l’ ospitalità de’ signori, é spesso il ritrovo di lette brigate. Quella, che vi fa gli onori di casa, é la Contessina Adele Sartori, moglie al Conte Felice Piovcne, nella quale la squisita coltura accoppiasi in mirabile accordo alla rara gentilezza de’ modi. L’ unica cosa, di cui manchi la villa de’ Piovene, come l’ altra de’ Fogaroli, de’ Maluta e del Cita, è l’acqua perenne, un difetto, a cui si potrebbe supplire assai facilmente. Sarà sodisfatto a un bisogno della umanità, quando l’ accordo, invocato da gran tempo, tra il Comune e gl’ investiti, fará che le acque del Lavo, anziché divallare inutilmente nel piano sottoposto, corrano limpide e copiose per il poggio meridionale di Brendola.”
Come non era sfuggito al nostro autore la carenza d’acqua, allo stesso modo il conte Felice Piovene non voleva rinunciare ai vantaggi ed ai benefici dell’acqua corrente in casa. La battaglia per ottenere tanto prezioso bene durò parecchi anni e si concluse nel 1890 con la costruzione del primo acquedotto brendolano.
La storia dell’acquedotto brendolano inizia ufficialmente il 7 MARZO 1890, come testimonia la fotocopia del verbale comunale stilato alle ore 11 antimeridiane in cui solennemente si sottoscrive la proposta approvata dal consiglio comunale nell’agosto dell’anno precedente.
Tre rogiti notarili, ad opera di Pietro dott. Ceccato Notaio, residente in Montecchio Maggiore, ufficializzano la riuscita del Piovene nell’impresa.
IL PRIMO “ISTROMENTO” DEL 27 APRILE 1890 vede comparire davanti al notaio, nel palazzo Piovene, testimoni Federico Frizzerin di Padova e Rigolon Alberto di Brendola,
Ceccon Giacomo fu Bernardo
Marzari Girolamo di Giobatta
Melotto Domenica fu Ottaviana, assistita ed autorizzata dal marito Gennai Gaetano fu Francesco
Tutti nati e residenti a Brendola, possidenti, i quali cedono le sorgenti del Lavo, le altre eventuali vene d’acqua nel monte e permettono la costituzione di servitù per la manutenzione degli impianti a favore di
Piovene cav. Felice fu Antonio, nato e residente a Vicenza, nella sua qualità di Sindaco del Comune di Brendola,
Pillon Antonio di Pellegrino, nato e domiciliato a Brendola, nella sua qualità di assessore del Comune di Brendola, parte acquirente.
IL SECONDO ISTROMENTO 11 MAGGIO 1890 vede comparire davanti al notaio, in casa Piovene, testimoni Federico Frizzerin di Padova e Rigolon Alberto di Brendola,
Muraro Antonio e Luigi fu Gaetano, nati e domiciliati a Brendola
Muraro Angela fu Gaetano, autorizzata dal marito Ferron Antonio fu Camillo, domiciliati a Grancona,
Muraro Maria fu Gaetano, autorizzata dal marito Pasqualotto Giacomo di Francesco, nati e domiciliati a Brendola,
Muraro Rosa fu Gaetano, autorizzata dal marito Busato Antonio fu Giobatta nato ad Altavilla, domiciliati a Brendola
Muraro Elisabetta fu Gaetano, nata e domiciliata a Brendola, nubile possidenti, i quali cedono la proprietà del terreno che trovasi al bivio, già denominato Loseon , ed ora denominato bivio Muraro, per la cifra di lire 25 venticinque e costituiscono servitù per il passaggio di un tubo del diametro di due centimetri, profondo 80 cm, per una lunghezza di sei metri circa a favore di
Piovene cav. Felice fu Antonio, nato e residente a Vicenza, nella sua qualità di Sindaco del Comune di Brendola,
Pillon Antonio di Pellegrino, nato e domiciliato a Brendola, nella sua qualità di assessore del Comune di Brendola, parte acquirente.
IL TERZO ISTROMENTO 20 GIUGNO 1890 vede comparire davanti al notaio, in casa dei Signori Girotto in contrà Lodi a Vicenza, testimoni: Gastaldon Antonietta fu Luigi cameriera, Scalco Domenico di Carlo, agente privato, entrambi nati e domiciliati a Vicenza,
Piovene cav. Felice fu Antonio, nato e residente a Vicenza, nella sua qualità di Sindaco del Comune di Brendola
Pillon Antonio di Pellegrino, nato e domiciliato a Brendola, nella sua qualità di assessore del Comune di Brendola, parte acquirente.
Valle Marina fu Galeazzo, vedova Girotto
Girotto avv. Francesco fu Bernardo
Nati e residenti a Vicenza, quali investiti ed utenti della fontana detta del Lavo in Brendola.
Premesso che
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il Comune di Brendola a cura e spese del Cav. Co. Felice Piovene, raccolte le acque del Lavo, costruì secondo il progetto dell’Ing. Lettre una conduttura, del diametro di 50 millimetri, lunga 230 metri fino ad un partitore, dal quale si stacca un altro tubo di ghisa del diametro di 40 millimetri lungo 96 metri che conduce nella corte Girotto la quantità d’acqua a questi spettante, come da preliminare dell’agosto 1889
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l’acqua da derivarsi dal Lavo, dopo lasciata alla contrada la quantità convenuta, di cui i Signori Girotto hanno diritto alla terza parte, abbia in qualunque caso a limitarsi a quella quantità che è possibile trasportare con il tubo raccoglitore di 50 millimetri di diametro, rinunciando alla eventuale maggior quantità che resterebbe a beneficio del Lavo
Approvano il partitore che assegna due parti dell’acqua al comune ed una parte ai Girotto.
Chiedono inoltre la scrittura, nell’atto, che la conservazione e la manutenzione perpetua del manufatto sia a carico del Comune. Richiedono inoltre l’installazione di uno scaricatore per gli eventuali esuberi d’acqua. Anche i vecchi condotti esterni ed i tubi d’arco esistenti per l’incanalazione devono essere tolti a spese del Comune e restituiti ai Signori Girotto.
Inaugurazione acquedotto del Lavo
Qualora il Comune volesse variare la quantità del terzo d’acqua a disposizione dei signori Girotto portandola ad un quarto il costo sarebbe di 4.000 (quattromila) lire, riducendola ad un quinto il costo diverrebbe di (6.000 seimila).
Il Comune deve vigilare perché la qualità e la quantità dell’acqua sia garantita come da accordi e lasciare a disposizione presso la sede comunale la chiave di accesso al partitore per permettere eventuali verifiche alla famiglia Girotto in presenza di un eventuale rappresentante comunale. Rilasciano a quietanza e saldo ricevuta per lire 1.000 (mille). Questo atto è il più impegnativo e determinante dell’intera operazione fornendo una serie di informazioni e chiarimenti importanti, notizie non direttamente inerenti l’acquedotto, ma illuminanti per capire il periodo storico ed i rapporti interni al Comune.Dieci anni aveva impiegato il conte Piovene a piegare il Comune, finanziariamente dissestato, a realizzare l’opera e l’impresa gli riuscì a condizione che tutte le spese fossero a suo carico. Altrettanto costosa fu l’opera di convincimento della signora Valle Marina moglie di Bernardo Girotto. Quest’ultimo personaggio importante nel 1850, quando la Deputazione Comunale di Brendola istituì la “commissione per il restauro e l’ampliazione della chiesa arcipretale” dopo l’approvazione del progetto dell’ing. Pietro Scaldaferro da parte del R. Commissariato Distrettuale di Vicenza. La commissione era composta dall’arciprete Camillo Novello, Revese don Gaetano, Zanuso Bortolo e Luigi, Facchini Angelo e Sebastiano, Ferretto Giovanni, Anselmi Giovanni, Cita Giovambattista, Targon Domenico e Polatti Angelo. Non tutta la popolazione era pienamente d’accordo. La signora Marina Valle Girotto aveva anche ricevuto una lettera di minacce che prometteva di incendiare le case dei componenti la commissione.Alcuni membri Targon Domenico, Zanuso Luigi e Bortolo e Polatti Angelo dissenzienti sul progetto,si dimisero. Il Girotto Bernardo, precedentemente escluso, subentrò insieme a Facchini Domenico e Vaccari Francesco. La famiglia Girotto amava dire che veniva volentieri a Brendola a bere la “sua acqua” . Le divergenze con il conte Piovene erano risapute per i diversi orientamenti politici delle due casate: I Girotto appartenevano alla borghesia vicina al mondo cattolico, mentre il conte Piovene era il rappresentante della vecchia destra nobiliare liberale
Acqueotto Piovene
La planimetria della pagina ci illustra in maniera chiara ed esauriente la realtà dell’acquedotto brendolano. Le sorgenti del Lavo furono sistemate a dovere (FOTO). La conduttura che partiva veniva dopo 230 metri di lunghezza interrotta da un partitore Comune-Girotto a cui seguiva più avanti presso Villa Tassoni, un secondo partitore Piovene-Comune. Da questo si dipartiva un tubo in ghisa del diametro di 20 millimetri per la piazza della chiesa di S. Michele dove veniva posto un fontanino e l’acquedotto continuava lungo la strada comunale della Madonnetta fino alla casa comunale, dove compariva un altro fontanino, per giungere in piazzetta del Vicario dove veniva posto un altro fontanino e finiva poco prima del Cerro con l’ultima bocca sempre aperta. Dal precedente partitore partiva anche il tubo per villa Piovene interrotto al bivio della Chiesa da un fontanino portante il numero 2 sulla planimetria. Quest’ultima ci illustra la situazione viaria ed abitativa della zona centro di Brendola dove sono segnate abbastanza con precisione le abitazioni e le proprietà dei Girotto, Piovene, Tassoni, del Comune, della Parrocchia dei Fogaroli, di Maluta, dei Facchini.
Fu opera di notevole impegno e di prestigio per i tempi e la triste realtà brendolana che poteva di conseguenza annoverare un certo primato rispetto ad altri centri della provincia.
Per tale motivo due anni dopo la costruzione dell’acquedotto abbiamo ulteriori manifestazioni di ringraziamento per il Co. Piovene
Il 22 giugno 1892
Festeggiandosi
IL SECONDO ANNIVERSARIO
della
INAUGURAZIONE DELL’ACQUEDOTTO
IN BRENDOLA
venne pubblicato in Padova ad opera dello stabilimento tipografico della ditta Penada un piccolo libretto e posto un busto in un edificio comunale, signoreggiante la Piazza Vittorio Emanuele, per pubblica e spontanea sottoscrizione, con la dedica a
FELICE PIOVENE
SINDACO INTELLIGENTE OPEROSO
CHE COMPIENDO UN ANTICO VOTO
RACCOLSE CONDUSSE E DISTRIBUI
A SUE SPESE
L’ACQUA SALUBERRIMA DEL LAVO
POSE RICONOSCENTE
IL COMUNE
1890
Per fare un confronto e trovare un riferimento temporale alla costruzione del nostro acquedotto prendo a riferimento la città di Bassano e di Lonigo. Riporto le vicende di quelle iniziative.
L’acquedotto di Bassano
“II Consiglio Comunale uscito dalle elezioni del 1895 espresse a Giunta composta dal sindaco Antonio Giaconi Bonaguro e dagli assessori Francesco Pozzato, Giobatta Montini, Girolamo Trevisan, Ilebrando Chiminelli, Gaetano Bertoncello. Giunta che portò a compimento nei due anni successivi un’aspirazione secolare di Bassano: il servizio comunale dell’acqua potabile. Si trattò allora di un grande avvenimento se si considera cosa aveva comportato e cosa comportava per l’intera popolazione bassanese tale mancanza. Innumerevoli erano stati nei 50 anni precedenti i progetti e le iniziative per la costruzione di un acquedotto. Nel 1844 il Consiglio aveva stabilito di far venire l’acqua a Bassano, ma il progetto fatto allora dall’ingegner Tescari non fu poi eseguito. Nel 1865 il podestà di allora, Francesco Compostella, aveva incaricato l’ingegner Girardello di fare la livellazione del canale del Brenta al fine di avere un dato sicuro per stabilire il modo e la spesa di un acquedotto che utilizzasse l’acqua del Brenta. Ancora nel 1881 la presidenza del Comizio Agrario, formata da Andrea Vittorelli e da Giambattista Chemin, commissionò al professor Enrico Legnazzi dell’Università di Padova di fare gli studi necessari per un altro progetto di estrazione dell’acqua del Brenta. Negli anni 1881-1882 e 1887-1890 numerosi furono infine i progetti presentati al Comune: basterà ricordare quelli dell’ingegner Zanoni e dell’ingegner Cippolletti, dell’ingegner Reinacher, dell’ingegner Carli e dell’ingegner Paolo Milani di Verona. Fu il progetto di quest’ultimo, che ricalcava quello del suo predecessore ingegner Carli, ad essere definitivamente approvato nel 1895. Esso prevedeva di derivare l’acqua dei Fontanazzi di Cismon nella misura di 25 litri al minuto secondo. A questo proposito il Consiglio deliberò per la costruzione dell’acquedotto una spesa di 550.000 lire che comportò il ricorso ad un prestito presso la Banca Popolare di Vicenza per 400.000 lire (gli altri 150.000 circa, già accantonati a suo tempo per la strada di Asiago, furono utilizzati a questo scopo), prestito attuato con un piano finanziario proposto e seguito minuziosamente ed oculatamente da Francesco Pozzato, forse uno dei migliori amministratori del Comune di Bassano in quegli anni a cavallo fra i due secoli. II 28 novembre 1897, come ci ricordano le cronache del tempo, dopo 18 mesi di lavori Bassano poteva cosi inaugurare con un grande concorso di popolo, il suo acquedotto comunale in una giornata probabilmente indimenticabile per i contemporanei di allora. In effetti, già nel 1901 si potevano registrare i primi immediati benefici rispetto perlomeno alla generale salute pubblica. Secondo alcuni dati ufficiali la mortalità era infatti discesa di una media di 37,66 morti all’anno.”
Aquedotto Piovene: Fontanina n°2
L’acquedotto di Lonigo
La costruzione di un acquedotto che fornisse “acqua perfetta e copiosa al nostro paese” era stata lo scopo di alcuni esperimenti autorizzati dalla Amministrazione Comunale nell’anno 1894. Negativi nell’interno dell’abitato, dimostrarono, con le perforazioni eseguite, “che poco lontano dal paese esiste un bacino acquifero sufficiente al bisogno per Lonigo e pari per le sue qualità igieniche a quelli di Dueville, S. Ambrogio, e Monachino che forniscono l’acqua a Padova, Venezia e presto a Vicenza”. Cosi riferiva il sindaco Maffei alla Giunta il 5 marzo 1895. E nel giorno 15 aprile, presentando al Consiglio Comunale la proposta di massima della costruzione dell’acquedotto, aggiungeva che la suddetta costruzione era imposta dal fatto che “la nostra Lonigo, quantunque topograficamente in posizione favorevole, fu nell’ultimo ventennio la più bersagliata, per malattie infettive, di tutti i Comuni ad essa contermini; causa precipua la mancanza di buona acqua, come ebbero a rilevare i Sanitari del Comune e come lo dimostrarono le statistiche sulla sensibile diminuzione delle suddette malattie, là dove si poterono stabilire pozzi a getto continuo. Intendo parlare delle localitá di Almisano, Campi Storti, Stazione ed altre”. Diede poi lettura della relazione tecnica presentata dall’ingegnere comunale Giovanni Carraro. E’ lunghetta, ma merita di essere riportata per intero:
“Appoggiato al consiglio di persone competenti e dietro gli insegnamenti dei migliori trattatisti, ho sviluppato il progetto sul dato di un consumo d’acqua un po’ elevato e precisamente sulla base che siano necessari ogni giorno 150 litri d’acqua per abitante, e quindi per Lonigo che (non compreso il quartiere detto Contrá di Sopra) conta 3000 abitanti, occorrono al massimo 450.000 litri al giorno, pari a litri 5,20 al l”. II pozzo Northon a getto spontaneo nella località Campistorti dà due litri al 1″ d’acqua, che dalle fatte analisi fu trovata di qualità perfetta, quindi con tre pozzi simili a questo si ha il volume d’acqua sopraindicato. Ma per le condizioni altimetriche del suolo, tale acqua non può per pressione propria essere portata che ad un solo metro sopra la rosetta centrale di Piazza Cavalli, quindi alcune vie dell’abitato ne resterebbero prive. Perciò ho ritenuto indispensabile di ricorrere all’innalzamento meccanico portando l’acqua ad un’altezza tale che possa poi distribuirsi a tutti i piani non solo delle case della Città, ma anche della Villa Giovanelli. Con questo mio progetto l’acqua viene presa, come si disse, ai Campistorti, adottando tutte le precauzioni necessarie per garantirla da possibili inquinamenti, quindi mediante tubi di cemento profondi metri 2, viene condotta nelle vasche unite ad apposito fabbricato posto nel guasto di proprietà Comunale detto alla Mola, nel quale vengono installate le pompe a vapore, che con una forza di undici cavalli spingono l’acqua nei cisternoni, della capacità di metri cubi 1500, posti sul monte dei Cappuccini ad un’altezza tale da poter mandare l’acqua sul tetto della Villa S. Fermo. Attraverso alla rete di distribuzione, costituita da tubi di ghisa con diametri vari da 100 a 40 millimetri e passanti per tutte le Vie della Città, l’acqua viene dunque spinta nei detti cisternoni, nei quali viene ad imagazzinarsi quella esuberante ai bisogni degli abitanti, in modo che, cessato il funzionamento delle pompe, l’acqua dei cisternoni viene a distribuirsi in tutta la rete colla stessa pressione che aveva all’atto del sollevamento e che venne calcolata in metri 20 sopra il piano medio dell’abitato. In tal modo é necessario il lavoro delle pompe a semplici periodi, che saranno più o meno lunghi a seconda del consumo d’acqua che si andrà a realizzare. I serbatoi che vengono scavati nel seno del monte restano perfettamente riparati dai cambiamenti di temperatura, per cui avendo cura di collocare ad una conveniente profondità i tubi di distribuzione e considerato che lo sviluppo complessivo di detta distribuzione non supera complessivamente i sei chilometri, si é certi che la temperatura dell’acqua, che alla sorgente é di 11°-R., non verrà sensibilmente alterata. A titolo di semplice notizia dirò poi che le fontane pubbliche vengono stabilite in numero di 7, numero maggiore di quanto ordinariamente viene praticato nelle altre città, che la spesa d’impianto compresi gli accessori della rete di distribuzione, cioè saracinesche, sfiatatoi, scaricatori, idranti, fontane, ecc., sarà di circa 100.000 lire e quella d’esercizio pel consumo medio di 200 metri cubi sarà di annue lire 4.000, sui quali dati risulta che il costo dell’acqua varierà dai 25 ai 16 centesimi ogni 1000 litri a seconda che ne aumenterà il consumo complessivo in tutta la Città”. Aperta la discussione ed esauriti i chiarimenti tecnici ed economici richiesti da più banchi del Consiglio, la proposta della Giunta fu approvata di massima, compresa l’autorizzazione a iniziare le pratiche presso il Governo per la concessione di un mutuo, e con la riserva “di deliberare sui progetti di cui sopra quando saranno definitivamente ultimati e riscontrati regolari, nella quale occasione la Giunta Municipale riferirà sulle pratiche da essa eseguite per ottenere la concessione del Mutuo, dimettendo anche il piano economico di ammortizzazione del prestito per la sua approvazione. Trascorsero diciotto anni prima che l’acqua – approntati i progetti tecnici particolareggiati e definitivi, assicurata la concessione del mutuo presso la Cassa Depositi e Prestiti e predisposto il piano di ammortamento, portati a termine i lavori per la posa in opera dell’impianto – incominciasse a scorrere nelle case dei cittadini. L’inaugurazione dell’acquedotto avvenne la domenica 28 settembre 1913 col primo getto che eruppe dalla fontana di piazza Cavalli. C’erano le autorità, c’era il clero, c’era il principe Giovanelli che donò la fontana, c’era la banda e gran folla di gente che applaudiva.
IL CONTE FELICE PIOVENE
Il conte Felice Piovene, ebbe il titolo di nobiltà dal governo austriaco il 5 maggio 1820 e fu per tanti anni cancelliere del Tribunale di Vicenza. Sposò Cappellari Elisabetta fu Ignazio, da cui ebbe un figlio Antonio. Fu proprio il conte Piovene avv. Antonio che, dopo avere ereditato il complesso ristrutturò ed ampliò con l’aiuto dell’architetto Giovanni Miglioranza, i beni e la villa.
Il conte Felice Piovene, nato a Vicenza il 29 gennaio 1833 da Antonio e Carlotta Hamilton, studiò al liceo e quindi giurisprudenza all’università di Padova, condiscepolo sempre del sen. Lampertico. Conobbe e sposò nel 1854 a Padova Adele Sartori. Appassionato musicista compose per piano, per orchestra e per banda e fondò a Brendola una banda che diresse fino ai suoi ultimi giorni voleva fermamente completare l’opera del padre dotando la villa di acqua corrente e riqualificare la propria immagine nobiliare.
Nella notte tra il 12 e il 13 luglio 1866 le autorità politiche ed amministrative austriache abbandonavano Vicenza che veniva annessa con il Veneto all’Italia. Il 20 e 21 ottobre il plebiscito sanciva l’adesione al Regno d’Italia. Dopo cinquant’anni di ininterrotta dominazione austriaca Brendola entrava a far parte di uno stato costituzionale e rappresentativo. Domenico Targon appare come il primo facente funzione di sindaco dopo l’unità. A partire dal 1869 il conte Piovene diventa sindaco. Il paese fu inserito nel collegio di Vicenza e per quel collegio chiamato ad eleggere il deputato al Parlamento.
E’ il caso di notare che Girotto, Piovene, Maluta, Fogaroli ed altri possidenti avevano la residenza fuori Brendola ed in ogni caso l’influenza per la scelta del candidato dei piccoli centri era pressoché nulla. Il sistema elettorale era limitato solo al sesso maschile e si aveva diritto di voto se si pagava allo Stato un certo livello di imposta (voto legato alla proprietà e al reddito). Avevano diritto circa il 2% dei maschi ed i collegi erano uninominali a doppio turno (ogni collegio esprimeva un solo deputato). Il primo deputato vicentino fu Fedele Lampertico che si dimise nell’aprile 1870 e fu sostituito fino a novembre da Giuseppe Pasetti, che dovette cedere il posto nella consultazione normale a Paolo Lioy. Nel 1874 a Brendola erano iscritti solo 246 elettori. Nel 1876 Bacco Giuseppe riuscì a vincere contro il P. Lioy, ma l’anno successivo morì lasciando di nuovo il posto nelle elezioni suppletive a P. Lioy.
Con la riforma elettorale del 1882 il numero degli elettori passava dal 2% al 25% della popolazione maschile adulta.
Per essere elettori bisogna quindi essere
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maschi adulti, con la possibilità di scegliere diversi candidati per collegio (scrutinio di lista),
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aver superato con diploma il corso elementare obbligatorio (2°elementare); oppure
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saper sottoscrivere la domanda di iscrizione nelle liste elettorali, in presenza di notaio; oppure
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appartenere a varie categorie di impiegati o di benemeriti dello Stato; oppure
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pagare un’imposta diretta di almeno 19,80 lire annue (imposta media pagata da lavoratori dipendenti)
La provincia di Vicenza fu divisa in due collegi e Brendola fu inserita nel 1° con Lonigo con l’elezione di Giovanni Lucchini, Bortolo Clementi, Attilio Brunialti e Paolo Lioy
Nel 1892 ripristinati i collegi uninominali, il conte Felice Piovene possidente terriero in quel di Brendola, si installò e fu eletto, senza difficoltà, deputato. A livello di collegio il Piovene ottenne 1.406 voti contro gli 826 di Panizza.
Fu riconfermato in Parlamento nelle successive competizioni elettorali del 1895 con 1.503 voti contro i 623 del socialista Mimiola, i 51 di Panizza, del 1897 con 1617 voti contro 879 di Mimiola e del 1900 con 1571 voti contro i 1.279 di Domenico Piccoli, esponente del primo socialismo vicentino. Morto il Piovene nel 1903 si tennero elezioni suppletive per surrogarlo. Fu necessario il turno di ballottaggio per assegnare il seggio al liberale Antonio Teso, che superò il socialista D. Piccoli.
Il conte Piovene aveva vissuto in sintesi questi passaggi storici:
1866: Leggi di soppressione degli enti ecclesiastici con espropriazione e vendita dei loro beni
1876: Primo governo Depretis e la sinistra al potere
1868: Tassa sul macinato.
Viene spontaneo richiamare alcuni concetti ed introdurre alcune pagine sul grano ed i mulini.
LA MACINAZIONE DEL GRANO
Il mulino ad acqua fu un’invenzione del bacino orientale del Mediterraneo. Il primo documento scritto che ne rileva l’esistenza risale al I sec. a. C. La sua introduzione nei processi di molitura segue l’adozione della macina a tronco di cono, documentata dagli scavi di Pompei e di Ostia. Le ruote di questi mulini potevano essere verticali od orizzontali. Presso gli egiziani, i greci e i romani, i mulini erano mossi principalmente da animali, ma anche da schiavi, cittadini poveri, delinquenti condannati. L’espansione del mulino ad acqua avviene nel corso del Medioevo, mentre quello a vento già impiegato in Persia nel VII sec. d. C., viene introdotto in Europa solo nel XII sec. Il principio del funzionamento del mulino ad acqua è stato applicato a una vasta gamma di macchine operatrici (pompe, filatoi, magli, ecc.), in grado di utilizzare sia il movimento circolare continuo sia quello rettilineo, alternato attraverso l’impiego di alberi a
Particolare del mulino Menon in località Cà Vecchie
camme e del meccanismo biella-manovella. Le città medievali di pianura, ricchissime di ponti e di canali, diventarono le sedi ideali di numerosi mulini in tutta Europa. La tipologia dei mulini dipendeva principalmente dalla natura dei corsi d’acqua che li alimentavano. Se il fiume aveva una portata rilevante e costante, era possibile collocare i mulini a filo d’acqua. Molti erano anche i mulini galleggianti, collocati sui fiumi e sul mare, nonostante i pericoli derivanti dalla rottura degli ormeggi. Il funzionamento dei mulini a marea era particolare: sbarrata un’ansa della costa, il flusso ascendente riempiva un serbatoio, la cui acqua veniva utilizzata nel momento della bassa marea. I primi mulini di questo tipo sono quelli del porto inglese di Dover, del XII secolo. Le ruote erano generalmente di legno di quercia, cerchiate di ferro con alcune decine di pale e poggiavano su supporti rivestiti di piombo. Anche i grossi alberi di trasmissione erano di quercia ed erano retti da sostegni in piombo, mentre altri ingranaggi erano di olmo e i loro denti si accoppiavano ai fusi di una ruota a gabbia. Un grande albero centrale faceva muovere la macina superiore contenuta, insieme a quella inferiore fissa, in un cassone. Tra le novità introdotte tra il XIX e il XX secolo, da segnalare la costruzione di parti in ghisa e acciaio al posto del legno, l’utilizzo di energie alternative come il vapore e l’elettricità, nonché l’impiego di macine di quarzo, più dure e capaci di reggere l’aumento della velocità di rotazione. Con l’avvento dei mulini a cilindri, nel XIX sec., il cereale non viene più schiacciato e “confricato”, ma passa attraverso coppie di cilindri rotanti di ghisa dura. In tal modo viene realizzato un prodotto più raffinato, riducendo il surriscaldamento delle farine e, conseguentemente, il loro deterioramento. Viene anche eliminata, dopo diversi passaggi, la presenza della crusca. Il pane bianco, pur perdendo proprietà nutritive e alimentari per l’assenza di crusca e semolino, comincia da allora a rappresentare un vero e proprio status symbol sociale. Oggi, nell’industria alimentare, per mulino s’intende l’intero impianto di trasformazione di grano e granaglie di farina.
LA TECNOLOGIA DEI MULINI
La spinta dell’acqua (energia), incanalata verso il mulino, mette in movimento una ruota idraulica (motore), costruita in legno di rovere, con cerchioni e perni in ferro. Il mugnaio, attraverso uno strumento detto paratoia, regola l’immissione dell’acqua sulle pale della ruota. La ruota fa muovere alberi e ingranaggi (organi di trasmissione) chiamati lubecchio, rocchetto e merla. Quest’ultima trasmette il movimento alla macina superiore. Un altro strumento, il bossolo, chiude l’occhio della macina inferiore per impedire la caduta del cereale. Le due macine (parti operatrici) sono costruite in pietra). La loro distanza è regolata dal mugnaio attraverso un dispositivo in legno, detto temperatoia ad argano a vite. Quella superiore, girando sopra quella inferiore, che è fissa, frantuma il cereale, contenuto in un recipiente di legno, a imbuto, definito trameggia. Altri due strumenti in legno, detti coppo e cantarella, dirigono il grano verso l’occhio della macina superiore e ne regolano la caduta. A questo punto il grano, polverizzato e trasformato in farina dall’azione di sfregamento delle macine, fuoriesce all’esterno e viene raccolto dal mugnaio nei sacchi.
MULINI SULLE TERRE BRENDOLANE
La breve e sintetica ricerca che ho svolto relativamente ai mulini situati nel comune di Brendola, mi ha permesso di vedere con occhi diversi alcuni siti caratteristici del paese e conoscere persone cordiali e disponibili che mi hanno fornito notizie relative ai mulini stessi, appartenuti a loro a ai loto famigliari. Nel comune di Brendola esistono: un mulino ancora funzionante e attivo, e i resti di altri cinque; cinque a pale e uno a turbina. Ho iniziato la mia ricerca del Mulino del Sole in località Canova. Questo mulino risalente al 17° secolo è andato distrutto da un incendio nel ….Ora si vede , nel mezzo di una piana, solo un rudere, ricoperta in gran parte dalla vegetazione spontanea. Si conservano ancora le canalizzazioni dell’acqua che in anni non lontani azionava la ruota a pale e alcuni ferri arruginiti che ancoravano la pala stessa alla casa e trasferivano il movimento alle macine.
A S. Valentino, presso la famiglia di Sig. Lovato, tra una manciata di caratteristiche costruzioni abitative, del vecchio mulino rimane solo il canale dove pescava la ruota , canale d’acqua limpida e risorgiva a cui si deve la presenza di un grande lavandaro.
In località Casavalle , a fianco della bella Villa c’è una costruzione restaurata adibita ad abitazione. Si specchia nel fiumicello Braggio, deflusso naturale delle acque sorgive che sgorgano all’interno di Casavalle. Il sig. Gonella mi ha indicato una pietra lavorata ad incastro dove veniva inserita una tavola per regolare la portata dell’acqua. Tale mulino era stato dato come abitazione ad un lavorante dei Veronesi eredi delle prorietà, fu in attività fino al 1915.
In località Cavecchie la Sig.ra Menon mi parla del mulino, posto dietro Villa Marini già presente dal 1900, appartenuto al nonno Vittorio e poi al padre Federico rimasto in funzione fino agli anni 80. Mi mostra le fotografie in cui lei e il fratello siedono vicini alle macine del mulino. Ora di tutto ciò rimane una turbina posta nel giardino della casa risultata dalla ristrutturazione del mulino. La Signora mi racconta delle discussioni frequenti che si accendevano tra mugnaio e contadini e che riguardavano prevalentemente la percentuale di farina che si doveva trattenere il mugnaio come pagamento del lavoro svolto. Per le difficoltà dovute alla riduzione della portata d’acqua alla diminuzione delle coltivazioni di grano e dal costo dell’energia troppo elevato per continuare il lavoro del mugnaio; antica attività che si perde nella storia dei secoli e che la civiltà moderna a poco a poco soppianta.
Dell’antico mulino Bonamin a Vò di cui si registra l’esistenza già nel X secolo, rimane una grande costruzione in parte fatiscente. La Grande ruota è ancora presente ma in cattive condizioni. La sua presenza ancora imponente mi fa pensare alla grande operosità che deve aver conosciuto negli anni passati, all’andirivieni continuo dei contadini, al lavoro sacrale degli uomini in perfetta simbiosi con la natura.
Mulino Campagnaro: interno attuale
Il mulino Campagnaro è l’unico ancora in attività. Da via De Gasperi si stacca una stradina dritta e ben curata che porta alla località Mulinetto dove c’è una grande costruzione bianca con il mulino. I primi proprietari della famiglia Campagnaro provenivano da Ponte di Barbarano e si trasferirono a Brendola verso la metà del 1800. A cavallo degli anni 70 il mulino fu convertito da energia idraulica a energia elettrica, a causa, mi ha spiegato il sig. Campagnaro dei danni subiti dalle attrezzature per l’inquinamento del fiumicello e della bassa redittività del mulino a ruota. Attualmente è attiva solamente una macina.
Riprendiamo gli eventi vissuti dal Co. Felice Piovene
1869: Apertura canale di Suez
1870: Presa di Roma durante il papato di Pio IX; comparsa di motori a combustione interna; piroscafi in acciaio, invenzione della celluloide e della dinamite.
1871: Roma capitale e legge delle Guarentigie
1878: Inizio pontificato di Leone XIII
1880: Abolizione tassa sul macinato; introduzione dei generatori elettrici (dinamo) azionati da macchine a vapore, lampadina elettrica a incandescenza; invenzione telefono e fonografo
1881: Riforma elettorale; assassinio dello zar di Russia Alessandro II
1882: Koch scopre il microbo della tubercolosi; nasce a Milano il partito operaio; triplice alleanza tra Germania,Austria e Italia
1887: Introduzione tariffa doganale protezionista; Primo governo Crispi
1888: Riforma della legge comunale: diventano elettivi i sindaci delle grandi città
1889: Nuovo codice penale Zanardelli; inizio delle crisi bancarie
1890: Costituzione della colonia Eritrea da parte dell’Italia; motori a scoppio funzionanti a benzina con comparsa di motocicletta ed automobile; prime centrali elettriche; prima bicicletta con trasmissione a catena; Tramvia elettrica e motore diesel a petrolio
1891: Pubblicazione enciclica “Rerum Novarum”
1892: Primo governo Giolitti; Fondazione del Partito dei lavoratori italiani
1893: Secondo governo Crispi; Alleanza Francia e Russia
1895: Roentgen scopre i raggi X
1896: Sconfitta italiana ad Adua in Etiopia
1898: Moti di Milano ed altre città
1899: Freud pubblica “l’interpretazione dei sogni” ed inizia la psicoanalisi
1900: Prime fabbriche di automobili, mitragliatrici e sottomarini; telegrafo senza fili
1903: Inizio dei governi Giolitti; Inizio pontificato di Pio X;
Il conte Felice Piovene rimase sindaco di Brendola fino al 21/11/1892 sostituito da Rossi cav. Ottaviano.
BRENDOLA 1866 – 1900
Durante gli anni che vanno dal 1866 al 1900 Brendola partecipa degli avvenimenti e dei problemi dell’epoca. I primi anni del Regno d’Italia a Brendola sono dedicati alla situazione censuaria degli immobili e alla definizione della ricchezza mobile. Abbiamo 163 dichiarazioni spontanee di proprietà presentate nell’ufficio comunale.Quando si parla di tasse ci sono sempre diverbi e discussioni. Il nuovo regno d’Italia, nonostante le tante promesse fatte prima dell’annessione del Veneto, si premura di incamerare ed aumentare le imposte istituendo in tutti i comuni delle commissioni tributarie. In data 13 aprile 1968 il sindaco Targon Domenico e il dott.Giovanni Morsolin,rappresentante della giunta, con i consiglieri Girotto Bernardo, Facchin Domenico, Rossi Ulderico, Tamiozzo Felice, Chiarello Bortolo, Valdagno Giuseppe e Tamiozzo Angelo accettano le dimissioni da conigliere di Brendolan Giovanni, eletto membro del Consorzio per fissare la tassa sui redditi di ricchezza mobile e votano in sostituzione il sig Zini Giuseppe. In data 1 maggio 1968 Il Comune sottoscrive l’abbonamento per 30 lire al Comizio Agrario di Vicenza. In data 4 dicembre 1868 il Comune istituisce la commissione locale e consorziale sulla ricchezza mobile a cui partecipa il Sig. Brendolan Giovanni. Purtroppo v’è tendenza all’estendersi della proprietà rurale, scrive nell’85 il Bollettino dei comizi agrari vicentini, e ciò per causa della forzata sparizione dei piccoli proprietari e per le mutate condizioni dell’agricoltura. Parte dei piccoli proprietari emigrano e per conseguenza vendono la loro poca terra che viene, quasi sempre acquistata dai più grossi proprietari conterminanti. Altri che, affittuali di più grosse tenute, avevano dato a garanzia della assunta conduzione il loro piccolo podere, si vedono poi espropriati dello stesso pel mancato pagamento del fitto.
L’emigrazione, causata da fame e da miseria, ma anche da una più moderna divisione internazionale del lavoro, dà sfogo alle eccedenze demografiche e, agevolata da governi e da speculatori d’ogni risma, ingigantisce di anno in anno sia nella sua forma permanente che in quella temporanea. «Ogni notte — scrive il “Corriere di Vicenza”, o quasi ogni notte, emigra qualche centinaio di persone, giovani per la più parte e robusti ché, raccolti i quattrinelli della roba venduta, lasciato il paese, passano per Vicenza onde indirizzarsi al Brasile con la famiglia. Credono ai sensali che promettono a loro “quaranta fertili” campi e poco più di cento franchi per vivere a Rio de Janeiro quando ci arriveranno. I quaranta campi forse ci sono; ma é roba incolta, steppa, selva oggi, da dissodarsi: sono tratti desertici esposti alle fiere ed alle scorribande delle Pelli Rosse…». La proverbiale e realissima disponibilità, in America, di «terra libera» attira indubbiamente a torme i contadini, spesso piccoli proprietari e modesti affittuali bersagliati in casa dalle tasse e dai cattivi raccolti, ma soprattutto messi in estrema difficoltà dalle avvisaglie prima e dall’ esplodere poi della crisi agraria.
Nel 1878 abbiamo la stesura del regolamento di Polizia Urbana che resterà in vigore fino al 26 ottobre 1935. Composto da otto capitoli così recita:
CAPO I°
Sgombro e nettezza dei luoghi pubblici
-
Senza il permesso dell’Autorità Municipale resta proibito l’occupazione delle piazze e dei luoghi pubblici, salvo quelli che venissero destinati pei mercati, o per nuove disposizioni;
-
nelle dette strade, piazze ed latri luoghi pubblici è vietato di accendere fuoco, cuocere vivande, o fare altri lavori domestici relativi all’industria, o per altre cause
-
è vietato di danneggiare o lordare gli uffizi pubblici o privati, di rimuovere i selciati ed i paracarri, di scaricare terra ed altre materie presso strade, piazze o pozzi, di gettare dalle finestre balconi o porta, sia di giorno che di notte materia immonda od anche semplicemente acqua sulla strada, piazze od altri luoghi pubblici o privati
CAPO II°
Neve
-
Lo sgombro delle nevi per la strada soggetta a manutenzione o di spettanza del Comune, come pure quello delle piazze,la cui polizia incombe agli stradini comunali;
-
occorrendo di dover scaricare i tetti delle case dalla neve il proprietario dovrà ottenere primariamente ottenere il permesso per iscritto dall’Autorità comunale dietro le condizioni che verranno dalla stessa stabilite; e quindi dovrà collocare i soliti segni ai lati della casa lasciandoveli per tutto il tempo in cui sarà per durare il lavoro;
CAPO III°
Costruzione e demolizione di fabbriche e selciati
-
Le occupazioni di pubblico suolo per causa di costruzione, demolizione e riattazione di fabbricati o selciati, non potrà aver luogo senza il permesso della Giunta Municipale.
-
Chiunque intraprenda un’opera qualsiasi sulla strada per cui occorra rimuovere il selciato dovrà previamente ottenere il permesso del Municipio e gli correrà quindi obbligo di accomodarlo e mantenerlo a tutte sue spese per mesi sei successivi
-
I rottami ed il calcinaccio, ed ogni altro materiale proveniente dalla demolizione o riattazione dovrà essere trasportato in modo da non riescire d’ingombro al pubblico, evitando perciò per quanto è possibile il polverio, e ciò entro il termine che verrà dalla Giunta fissato.
-
Nei luoghi dove si eseguono i lavori di cui sopra, dovranno apporsi i soliti segnali di cui l’art.5, sgomberando prima di sera il suolo pubblico; nel caso in cui ciò non si potesse eseguire, di dover tenere di notte tempo sul luogo un lume acceso e fare i ripari all’uopo necessari
-
Le case, edifici o muri di qualsiasi sorta minaccianti rovina dovranno essere tosto riparati dietro ordine dell’Autorità Municipale. Ove nel termine stabilito il proprietario trascuri di ottemperare alla fatta ingiunzione, il lavoro verrà eseguito d’ufficio e a tutte spese del proprietario, secondo le disposizioni di legge e regolamenti relativi.
-
I tetti, le balconate ed i cornicioni delle case dovranno essere mantenuti in buon stato, e tale da allontanare qualsivoglia pericolo di caduta di tegole, lastre, pietre od altro.
-
Le insegne dei negozi. Botteghe od altro dovranno essere provviste ed assicurate dai necessari ordigni per impedire che il vento le stacchi o le faccia cadere.
-
Potrà il Municipio stabilire orinatoi, sospendere fanali o fare eseguire altre opere di pubblica utilità in luoghi che parranno giudicati convenienti.
CAPO IV°
Vetture ed animali
-
Pel trasporto delle persone e delle merci non si potranno adoperare vetture o veicoli che possano ritenersi pericolosi.
-
Le vetture ed i veicoli dovranno essere caricati in modo da non offendere o danneggiare le persone a cui passano vicino.
-
Resta proibito di fermarsi in luoghi pubblici con bestie o veicoli in maniera da impedire o rendere pericoloso il passaggio.
-
Dovendosi caricarli o scaricarli, verranno usate tutte quelle precauzioni necessarie per evitare sinistri accidenti e procureranno di por termina al lavoro al più presto possibile.
-
E’ assolutamente vietato nell’interno dei luoghi abitati d’andare al galoppo, al trotto serrato o forzato con bestie da tiro o da soma.
CAPO V°
Cautele e disposizioni un caso di incendio
-
per prevenire ed allontanare i pericoli d’incendio tutti i camini o i canali del fumo dovranno essere spazzati almeno una volta l’anno per cura del proprietario od inquilino della casa il quale sarà tenuto a fornirne la prova dietro richiesta della giunta.
-
I fabbri ferrai che facciano uso di fuoco in botteghe aperte verso la piazza o via pubblica dovranno tenere un riparo davanti alla loro officina, atto ad impedire che ne partano faville.
-
In caso d’incendio tutti gli accorsi sul luogo sono tenuti ad adoperarsi per la sua estinzione quando a ciò pare siano capaci e ciò sotto la direzione dell’Autorità locale.
-
Tutti coloro che non prenderanno parte direttamente od indirettamente all’estinzione dell’incendio dovranno ritirarsi a qualunque indicazione dell’Autorità dirigente.
-
In simili casi sarà obbligo di ognuno di mettere a disposizione dell’Autorità dirigente tutti quelli utensili che possono contribuire all’estinzione dell’incendio.
-
Dietro rapporto dell’Autorità dirigente i lavori di estinzione dell’incendio, potrà il Municipio provvedere alla distribuzione di qualche premio a favore di chi si sia distinto per zelo e coraggio , e promuovere una giusta ricompensa dal Governo che vengono consegnate in simili casi
CAPO VI°
Delle pene
-
Le contravvenzioni al presente regolamento quando non cadranno sotto la sanzione di altre leggi e norme generali, saranno sanzionate dall’Autorità Municipale. L’esecuzione del presente regolamento è affidata a tutti gli inservienti comunali , nonché all’arma dei Carabinieri. Il regolamento stesso, ottenuto la Superiore approvazione entrerà in vigore 15 giorni dopo la sua pubblicazione in Comune, dove dovrà tenersi affisso nella sala comunale. 26 giugno 1878.
Il documento è illuminante sulla situazione del tempo e sui relativi stili di vita.
Nel 1881 a Brendola si registravano 3452 abitanti.
A Brendola prendono la via dell’estero, a partire dall’anno 1890. numerose famiglie.
Anno |
Cognome Nome |
Località |
M. |
F. |
|
1893 |
Peruzzi Isidoro di Luigi |
America |
1 |
||
1894 |
Bertocco Emilio di Natale |
“ |
1 |
1 |
|
Brendolan Antonio fu Paolo |
“ |
2 |
3 |
||
1895 |
Peruzzi Giovanni fu Giacomo |
“ |
2 |
2 |
|
Bruttomesso Giovanni fu Francesco |
“ |
3 |
1 |
||
Donagemma Luigi fu Giacomo |
“ |
4 |
3 |
||
Magnabosco Sante fu Domenico |
“ |
2 |
4 |
||
Muraro Giuseppe fu Giovanni |
“ |
4 |
1 |
||
Perazzolo Girolamo fu Giuseppe |
“ |
3 |
2 |
||
Parladore Luigi fu Angelo |
“ |
3 |
2 |
||
Dalla Pozza GioMaria fu Biagio |
“ |
1 |
3 |
||
Visonà Luigi di Angelo |
“ |
1 |
1 |
||
Tamiozzo Luciano di Giovanni |
“ |
3 |
1 |
||
Pelizzari Alessandro fu Domenico |
“ |
2 |
2 |
||
Rossetto Domenico fu Antonio |
“ |
2 |
4 |
||
Vaccarotti Pietro fu Giuseppe |
“ |
2 |
1 |
||
Tamiozzo Giacomo fu Domenico |
“ |
4 |
1 |
||
Beggio Ottavio e Girolamo |
“ |
2 |
|||
Viale Giobatta fu Angelo |
“ |
1 |
1 |
||
Nicoletti Patrizio di Pietro |
“ |
3 |
1 |
||
Luisetti Ernesto ed Evaristo di Luigi |
“ |
2 |
|||
Nicoletti Antonio fu Angelo |
“ |
1 |
|||
Cecchin Felice fu Celeste |
“ |
1 |
3 |
||
Caldonazzo Marco fu Marco |
“ |
1 |
|||
Sartori Giuseppe fu Pietro |
“ |
1 |
|||
Muraro Antonio di Francesco |
“ |
1 |
|||
Riva Pietro ed Angelo di Domenico |
“ |
2 |
|||
Girardi Giuseppe di Sante |
“ |
1 |
|||
1896 |
Peruzzi Isidoro di Luigi |
“ |
1 |
1 |
|
Volpato Giacomo fu Luigi |
“ |
3 |
2 |
||
Visonà Antonio di Giobatta |
“ |
1 |
1 |
||
Sartori Antonio di Benvenuto |
“ |
2 |
1 |
||
Valente Giovanni di Paolo |
“ |
1 |
2 |
||
Bauce Giuseppe fu Giovanni |
“ |
1 |
|||
Feltre Giovanni di Francesco |
“ |
1 |
|||
Canal Bortolo fu Bortolo |
“ |
1 |
1 |
||
1897 |
Barocco Marco fu Pietro |
“ |
2 |
2 |
|
Girardi Riccardo di Alessandro |
“ |
2 |
2 |
||
Lovato Girolamo di Giovanni |
“ |
1 |
|||
Targon Angelo fu Giovanni |
“ |
1 |
1 |
||
Dinale Giovanna fu Antonio |
“ |
1 |
|||
Nicoletti Angelo di Antonio |
“ |
1 |
|||
Cecion Giacomo fu Bernardo |
“ |
1 |
|||
Muraro Michele fu Domenico |
Germania |
1 |
|||
1898 |
Buffo Giuseppe fu Angelo |
America |
1 |
||
Castegnaro Francesco di Francesco |
“ |
2 |
1 |
||
Perazzolo Domenico fu Andrea |
“ |
3 |
6 |
||
Mistrorigo Lucia fu Giovanni |
“ |
1 |
|||
Perazzolo Placida fu Andrea |
“ |
1 |
|||
1903 |
Rubega Antonio fu Francesco |
“ |
3 |
1 |
|
1904 |
Svizzera |
18 |
luglio |
||
“ |
6 |
giugno |
|||
“ |
2 |
maggio |
|||
“ |
2 |
aprile |
|||
America |
18 |
4 |
marzo |
||
Svizzera |
3 |
febbraio |
|||
Germania |
5 |
gennaio |
|||
1905 |
12 |
8 |
dicembre |
||
14 |
7 |
novembre |
|||
America |
21 |
12 |
ottobre |
||
“ |
18 |
1 |
marzo |
||
“ |
18 |
febbraio |
|||
La prima emigrazione significativa per Brendola risale all’anno 1895 con la partenza di 85 emigranti ( 33 donne) per l’America; resterà questa sempre la meta di tutti gli altri paesani che seguiranno questo primo grande esodo alla ricerca di un futuro migliore , che nel dialetto locale si esprimeva con questa espressione “far fortuna”.
Negli anni successivi si segnalano espatri di circa 15 o 20 persone , non di più. Una vera ondata migratoria si registra poi nel 1904 con la partenza di altri 66 Brendolani; ma la vera grande migrazione si ebbe, come in molte altre zone d’Italia, nel 1905 con ben 111 partenze. Di questi ultimi anni troviamo registrati solo i totali degli emigrati mese per mese e distinti per sesso, mentre nei tabulati degli anni precedenti venivano annotati con paziente precisione tutti i nominativi come si può osservare nella tabella riportata.
Tra i primi a partire ci fu un certo Peruzzi Isidoro di Luigi che si imbarcò da solo nel 1893, di lui ritroviamo notizie nel 1896 ancora segnalato come emigrante per l’America (1maschio e 1 femmina): probabilmente era ritornato per sposare la “sua bella” e poi ripartire con lei!
Dopo alcuni anni dalle prime partenze, nel 1901 , si registrano i primi rientri dall’America( ne tornano 43), nel 1903 sono 22 e nel 1904 rientrano 45 brendolani che per vari motivi non avevano evidentemente “fatto fortuna”. Analizzando le tabelle, possiamo notare che però tutti tornano con famiglie più o meno numerose!
Anno |
Cognome Nome |
Località |
M. |
F. |
Mese |
1901 |
Rossetto Domenico |
America |
2 |
4 |
|
Valente |
“ |
5 |
3 |
||
Bruttomesso |
“ |
3 |
2 |
||
Tamion |
“ |
5 |
8 |
||
Binato |
“ |
4 |
3 |
||
Visonà ( Marioli) |
“ |
1 |
3 |
||
1902 |
Lombarda |
“ |
2 |
2 |
|
Pelizzari Alessandro |
“ |
2 |
1 |
||
Magnabosco Sante |
“ |
2 |
3 |
||
Muraro Giuseppe fu Giovanni |
“ |
4 |
1 |
||
1903 |
Visonà Giuseppe |
“ |
3 |
2 |
|
Viale Bortolo |
“ |
2 |
4 |
||
Viale Alessandro |
“ |
1 |
5 |
||
Visonà Antonio di Giobatta |
“ |
4 |
1 |
||
1904 |
dall’estero |
13 |
dicembre |
||
“ |
25 |
novembre |
|||
“ |
4 |
3 |
febbraio |
||
1905 |
“ |
15 |
dicembre |
||
dall’Europa |
18 |
novembre |
Alla massa sempre ragguardevole di emigranti temporanei che la nostra provincia, grazie alle sue parti montane, comincia a sospingere verso altri paesi con effetti e secondo modalità destinate a rivelarsi quasi «secolari»,si aggiunge l’esodo verso le Americhe. Si tratta, stavolta, di un avvenimento ch’é ben lungi dal riguardare solo emigranti vicentini i quali costituiscono un frammento dell’immane ondata emigratoria ottocentesca. Ma per il modo in cui anche dalle classi abbienti e «risparmiate», viene vissuto il fenomeno, non riesce difficile operare l’inserzione di tale esperienza nel discorso più ampio dei rapporti fra la città e l’esterno. Tanto più che materialmente essi si spingono fra Otto e Novecento, perdurando tuttora. a livello politico ed economico, in modo infinitamente più incisivo ed eloquente del passato. Le fonti che ragguagliano sugli inusitati viaggi di massa e sulle nuove comunità vicentine che talvolta, rinnovando la patria nel nome si formano al di lá dell’Oceano (e in America Latina troviamo parecchie Nuove Vicenza Nuove Bassano, Nuove Schio, ecc.), non sono però quelle smaliziate dei colti. Nel bene e nel male gli emigranti sono i primi a far pervenire notizie sulla traversata, sulla «Merica» e sulla vita che m essa si conduce.”Accanto a una nutrita schiera di corrispondenti giornalistici e di forzosi osservatori sono i rurali che da ogni parte del nuovo mondo inviano relazioni, moniti, richieste o preghiere. Costante Menegazzo, espatriato nel 1878 e finito, contro sua voglia, in Guatemala così dipinge il viaggio per mare:
«Quando siamo arrivati a Marsiglia dal signor Fawre e abbiamo pagato cento franchi — oltre la condotta da Genova — egli ci ha detto che nel Brasile non si riceve più nessuno. Tutto era differente e sempre finto, tutto perché il bastimento era a vela e non a vapore, la spesa del vitto doveva essere con la carne e invece ebbimo sempre patate, fagiuoli e “quattro volte” formaggio in “due mesi”. Caffé ala mattina, patate da mezzodi e patate lesse la sera, o patate e fagioli cotti insieme e cosi per tutto il viaggio fino a Rio de Janeiro… nel bastimento abbiamo patito una gran fame e sete, gran dose di pidocchi e di pulci, caldo orribile, vomito, diarrea e paure di ogni genere…».
Per avere un’idea sommaria dell’entità del flusso permanente e temporaneo che si produsse dalla nostra provincia, basta dare un’occhiata alla tabella che riproduce i dati relativi al periodo compreso appunto fra il 1876 e il 1905, riassunti per decenni:
Emigrazione dal Vicentino di tipo permanente e temporaneo
Anni | Europa e Bacino del Mediterraneo | Paesi Transoceanici | Totale |
1876
1885 |
21.664 (anno di punta 1883) | 10.798 (anno di punta 1877) | 32.462 |
1886
1895 |
39.751 (anni di punta 1891/1895) | 33.034 (anno di punta 1891) | 72.785 |
1896
1905 |
105.601 (anno di puma 1899) | 12.704 (anno di punta 1897) | 118.305 |
Brendola gravitava sul comizio agrario di Vicenza, associazione di proprietari terrieri, e pagava regolarmente l’abbonamento del bollettino come testimoniano delibere consiliari. Il mondo agricolo era l’unica fonte di reddito non esistendo altre iniziative imprenditoriali di altro genere. Non esistono filande od embrioni di imprese artigianali di un certo livello. Nel 1892 la banca popolare di Arzignano si allarga ed incrementa i suoi servizi giungendo fino a Brendola ed assumendo il servizio esattoriale Nel 1904 abbiamo solo 18 esercizi con licenza e tanti braccianti. Abbiamo anche quasi superato la drammatica fuga verso l’estero. Attorno ai più estesi poderi di Brendola, condotti direttamente, i braccianti non difettano e si riducono le possibilità di lavoro. E’ infatti la condizione degli avventizi che si va deteriorando progressivamente. Rimane infatti per chi trova lavoro il breve intervallo della mietitura , della rincalzatura del granturco. Ecco allora che le amministrazioni costituiscono un breve e temporaneo sollievo con la promozione di lavori pubblici. Si sistemano strade, si riparano mure e si correggono curve e dislivelli stradali; si aprono cantieri di lavoro per poter dare qualche soldo ai tanti poveri e disoccupati. La città di Arzignano può contare su iniziative agricole e artigianali ben più consistenti. Mentre a Brendola si festeggia l’acquedotto a Lonigo, il 23 ottobre 1898 si inaugura il teatro comunale di 970 posti a sedere con dieci camerini e la sala illuminata da 83 lampade elettriche da 50 candele ciascuna, nonché da un diffusore centrale Zaix da mille candele. Differenze notevoli!
Nel 1899 l’amministrazione brendolana poteva contare su iniziative di personaggi come Gio.Battista Tassoni, membro ufficiale del comitato e poi consorzio grandinifugo, il primo sorto in Italia. Due anni dopo il consorzio grandinifugo, che rimane il più importante per estensione, difesa e numero di cannoni comprende i comuni di Montebello, Montorso, Zemerghedo, Arzignano, Trissino, Montecchio Maggiore, Bretone e Gambellara arrivando fino a Brendola. Una rete di 250 cannoni protegge 12.500 ettari di terreno.
«Nella bella Valle del Chiampo, giustamente celebrata per la coltura della vite e che talvolta é desolata dalle grandinate, quest’anno mercé l’iniziativa presa dal Comizio Agrario di Arzignano, si faranno degli esperimenti, onde col cannone combattere i nembi temporaleschi […] Si cerca in altri termini di tradurre in atto quanto é stato giá con successo praticato dal signor Stiger in Stiria, e che l’amico onorevole Ottavi ha così bene descritto». II suggerimento venne al Veronese ancora una volta dal professor Marconi ed in breve fu fatto il comitato e tracciato il piano delle stazioni dall’ingegner Biasin. II comitato era composto da Petronio Veronese, presidente, Gio.Battista Povoleri, vicepresidente, Giuseppe Concato, Luigi Rossettini, Giuseppe Brusarosco, Angelo Cariassare, Luigi Brunelli, Gio.Battista Tassoni, Francesco Borin. La parte tecnica era curata dall’ing. Biasin.”
Torniamo a ricordare come nel 1898 il Conte Piovene partecipò all’inaugurazione della strada Strabusene. Questa strada che in condizioni completamente diverse aveva permesso il passaggio dei soldati austriaci di Radetzky. Il 6 giugno 1848 un corpo d’armata partito da Verona con a capo il generale Culoz si accampava in Montebello, Tavernelle e Brendola per conquistare il giorno 9 Arcugnano. Questa colonna aveva ricevuto il compito di occupare le creste dei monti e Monte Berico, mentre le altre due armate, provenienti da Montagnana, avrebbero agito di appoggio e di diversione. La sera del 10 giugno 1848 dal Cristo che da Monte Berico dominava la città i cannoni riducevano Vicenza alla resa. Questa via di comunicazione, con precedenti così importanti era stata sistemata ed allargata ad opera del Conte Piovene, dando lavoro e un bricciolo di respiro alle tante braccia in cerca di lavoro di Brendola. La giunta municipale per dimostrare la sua riconoscenza , interprete dell’intero paese deliberò di festeggiare detto giorno nel modo seguente:
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ore 9 antimeridiane partenza dal Municipio per la strada di Strabusene ove ci sarà l’incontro con l’amministrazione di Arcugnano
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ore 12 pranzo in una sala del Municipio
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alla sera replica del pranzo con fuochi artificiali e giochi popolari.
La spesa del pranzo sarà ripartita tra gli aderenti.
Lire 4,70, cifra discreta per quei tempi magri e di povertà per un pranzo sociale dove compaiono tutt i nomi che contavano al tempo.
L’inaugurazione del 18 novembre 1898, sindaco Rossi Ottaviano, era la realizzazione del progetto redatto dall’ing. Zanovello, che troviamo spesso operare in Brendola. Lo stesso ingegnere, sempre nel 1898 aveva edotto il comune sulla fattibilità di ristrutturazione ed adeguamento delle strade di S.Valentino, dei Gazzi e del Palù, del Capo di Là, dove risiedevano un migliaio di persone. Nel 1895 si era realizzata la costruzione del cimitero di S.Vito e nell’agosto del 1896, ad opera completata, Rossi Ottaviano sindaco invia una richiesta, meglio una supplica al Co. Mario Valmarana perché ceda al Comune una striscia di terreno di collegamento tra il cancello del cimitero e la strada dei Gazzi, dal momento che l’unico collegamento era una stradina quasi impraticabile posta nel retro del cimitero. Sempre nello stesso anno abbiamo un ampliamento del cimitero del capoluogo Siamo ormai a fine secolo e Brendola è rimasta paese esclusivamente agricolo con tanti piccolissimi proprietari terrieri incapaci di ottenere un reddito sufficiente alla sopravvivenza. Sono questi gli anni più terribili e costellati da tante partenze per il Brasile, l’Argentina ed altri paesi. Un esodo iniziato intorno agli anni 1880 e ancora in pieno svolgimento che favorisce l’ulteriore concentrazione delle proprietà terriere.
Vediamo un’altra copia del consiglio comunale del 16 maggio 1897 dove viene incaricato sempre l’ing. Zanovello per l’insediamento di un asilo di mendicità presso la casa di Madonna dei Prati, che sarà in seguito bocciato dal prefetto e porterà a ricercare altre soluzioni.
Ma Brendola che nel 1900 contava circa 3990 persone era anche una parrocchia considerata importante e diretta da arcipreti destinati a diventare personaggi riconosciuti a livello nazionale.
In parallelo al Comune la parrocchia annoverò una serie di parroci a partire da:
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Camillo Novello (1847-1879) che con tanti contrasti e sopportazione riuscì a costruire il campanile merlato, la chiesa arcipretale a tre navate, la sacrestia e l’oratorio. E’ ancora visibile una lapide murata nella parete della navata a sinistra della chiesa attuale. Nel 1871 abbiamo il vescovo Farina in visita pastorale.
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Successe Andrea Caron da Rosà (1879-1885), curato a Colloredo di Sossano che dopo sei anni passò a reggere la parrocchia di Cologna Veneta e successivamente divenne Arcivescovo di Genova.
In questo tempo si avviano in Brendola una serie di associazioni che rappresentavano il movimento cattolico del tempo e che lentamente porteranno a notevoli cambiamenti. Risorgevano dopo la soppressione delle organizzazioni religiose operata da Napoleone nel 1807. Rappresentavano quella parte dei parrocchiani cosiddetti devoti, nel senso che partecipavano attivamente ai riti religiosi ed erano sempre disponibili a sostenere la parrocchia, a differenza di altri che pur dichiarandosi religiosi non andavano oltre la comparsa durante le cerimonie religiose importanti. Mi limito ad elencare alcune associazioni sottolineando l’alto numero di aderenti iniziando da:
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Congregazioni delle figlie di Maria Immacolata istituita nel 1882 con 106 iscritte
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Aderenti al terzo ordine di S. Francesco fondato nel 1876 con 207 iscritti che si proponeva di diffondere tra i fedeli lo spritito di povertà e semplicità del santo
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Aggregazione al Sacro Cuore di Gesù fondata il 13 febbraio 1881 con 709 iscritti
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Pia aggregazione ad onore del Sacro Cuore di Gesù Venerato fondata nel maggio1884 con 33 persone
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Pia unione di giovanetti posti sotto il patrocinio di S. Luigi Gongaza fondata il 25 marzo 1885 con 35 iscritti che tendeva ad offrire, in area dove era ancora carente l’Azione Cattolica un orientamento spirituale adeguato alla gioventù.
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Comitato parrocchiale fondato il 25 marzo 1881 composto da 45 persone, che non si limitava alla formazione spirituale, ma mirava anche alla difesa della Chiesa dagli attacchi quotidiani ed a recuperare spazi d’azione e prestigio. Questa azione sociale ha la prima espressione di scontro nei primi anni del novecento
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Aggregati al n.s. del Sacro Cuore di Gesù nella chiesa di SS Filippini in Vicenza fondata il 31 maggio 1883 con 460 iscritti
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In gennaio del 1886 era pastore Giovanni Fossà da Gambellara, (1886-1901), già cappellano alla Madonnetta di Sarcedo, che battezzò Anna Francesca Boscardin, nata il 6 ottobre 1888 , divenuta poi S.Maria Bertilla. Dopo quattordici anni fu trasferito alla città di Lonigo. Da qui parti come Vescovo di Fiesole dopo aver tentato di completare il duomo di Lonigo con la costruzione della torre campanaria. In settembre del 1899 il vescovo Feruglio è in visita pastorale a Brendola, dove la situazione è ben controllata dai sacerdoti e la popolazione si affida ciecamente alla Chiesa. I movimenti cattolici sono in fermento ed impegnati contro i liberali, quasi in attesa dei marxisti,. La Rerun Novarum del 15 maggio 1891 metterà i presupposti per un impegno concreto, oltre che in campo socioeconomico, anche politico dei movimenti cattolici.
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Arrivò Emilio Gresele (1901-1911), che istituì la lega dei contadini (lega bianca) inimicandosi i grossi proprietari, che lo perseguitarono fino a costringerlo alla rinuncia. Morì a Viterbo nel luglio del 1920.
Queste scarne ed imprecise notizie ci danno subito l’immagine di un paese dalle strutture sociali semplici, retto da una economia agricola e perciò da una classe dirigente ancora in gran parte nobile ed alto borghese che basava il suo potere sul possesso della terra e che era in conflitto progressivamente crescente con il clero. Essere proprietari di terra era un indubbio segno di status sociale.
Alle classi sociali nobiltà e borghesia non interessava il miglioramento e lo sviluppo della produzione agraria o il benessere sociale, ma l’incasso della rendita agraria e l’insieme dei vantaggi derivanti dal patto sociale della mezzadria. Il lento e faticoso avvio di un processo di sviluppo spiega la quasi assoluta mancanza di agitazioni sociali e spiega l’ampiezza del fenomeno emigratorio contadino. Spiega anche le condizioni critiche della sanità pubblica, gestita a Brendola dal dr. Lettre, nei primi anni dell’unità con i casi di vaiolo e più tardi di pellagra. L’alto tasso di mortalità era legato alle condizioni abitative ed alimentari estremamente precarie dei lavoratori. Non erano certo interessati all’acqua corrente in casa come il conte Piovene. Erano case di un solo piano oltre il terreno o del solo pianterreno. Qualcuna aveva dinanzi un piccolo portico con una staletta o un fienile. Erano in realtà piccoli tuguri dove la famiglia in pochi metri quadrati risolveva il problema del preparare il cibo, dormire e conservare le poche masserizie. Il saccone di foglie di granoturco come materasso e due guanciali di penne di pollo costituivano il giaciglio. A volte il tetto delle case era di paglia e sempre con il pavimento in terra battuta. In queste condizioni ambientali, aggravate dalla mancanza di servizi igienici, la comunicazione con la stalla, la scarsità e la dubbia potabilità dell’acqua, oltre al bassissimo regime alimentare, inadeguato al massacrante lavoro, è ovvio che ne risentissero grandemente la salute e la durata della vita.
Dopo il dr. Lettre abbiamo come medico condotto il dr. Pietro Stefani, che sarà successivamente sostituito dal dr. Fenelli. Nel 1879 nel Veneto furono registrati 129.836 pellagrosi. Le teorie mediche sulle cause di pellagra erano fondamentalmente due: la prima riteneva la malattia causata da un virus, la seconda pensava che fosse legata al regime alimentare. Risultava in ogni caso, una presa in giro, il suggerimento di alcune autorità sanitarie che proponevano la necessità di convincere i contadini di sostituire la polenta con il pane, le paste, i legumi, le carni. Come se fosse possibile farlo! Le statistiche del tempo ci dicono che il tasso di mortalità era del 23,4% per i nati da 0 a 1 anno, del 13,5% da 1 a 5 anni, che soltanto il 16,21% raggiungeva i 60 anni. Malaria, vaiolo tubercolosi erano compagni quotidiani e, in alcuni casi si potevano curare in ospedale a Vicenza come testimonia un tesserino di accesso riprodotto.
Si diceva un paese di 3990 persone nel 1900, che purtroppo oggi come allora, erano sparse nel territorio in contrade affollate come Valle, Goia, Costa, S.Valentino, S.Vito e Vò. Un paese povero, di contadini, mezzadri, braccianti che dipendeva dai nobili e ricchi proprietari terrieri e che continuava ad avere il problema dell’acqua potabile. La grande impresa del Piovene aveva risolto il marginalmente l’approvvigionamento idrico del paese. Inoltre i Revese, Tassoni, Ferretto, Zanuso ed altri grandi possidenti erano dotati di pozzi privati. Possiamo quindi concludere che con la realizzazione dell’acquedotto Piovene si era garantita l’acqua corrente ed i relativi benefici ai ricchi del paese. La gente comune rimaneva a secco o meglio faceva riferimento ad alcuni pozzi pubblici esistenti, affollati e con quotidiane file di donne, armate di secchi e “bigolo” per il trasporto. Nei racconti dei nostri padri e madri continua ad essere presente l’immagine di donne in fila ad attendere il turno. La situazione in generale viene riassunta dall’elenco che segue e che continuerà per almeno vent’anni, quando le lamentele e le richieste della gente diventeranno frequenti e forti, quando anche l’amministrazione comunale non potrà ignorare la cittadinanza, quando al comando non saranno solo i proprietari terrieri. Con l’acquedotto del Co. Piovene si conclude un ciclo storico.
I POZZI PUBBLICI ESISTENTI INSIEME ALL’ACQUEDOTTO
Contrà Valle
I primi documenti per la costruzione di un pozzo pubblico risalgono al 1880-81 e la sua realizzazione avviene nel 1882. Una delle più popolate contrà, posta ai piedi del colle e attraversata dallo scarnato con quello che al tempo era considerato un tesoro” la sorgente delle Spesse”. Questa sorgente, che sovrasta Valle, scaturiva in prossimità dello Scaranto(FOTO) omonimo ed aveva una portata minima in ragione di 5 (cinque) litri al minuto primo pari ad una quantità giornaliera di 7.200 (settemiladuecento) litri (stima ing. Zanovello). Purtroppo non utilizzata perché l’acqua potabile, scarsa ed insufficiente, veniva fornita dal pozzo pubblico del “Postin”. Solo più tardi attorno al 1910 si prenderanno iniziative per l’utilizzo della sorgente. Al tempo dell’acquedotto solo il pozzo pubblico del “Postin” funzionava a servizio degli abitanti.
Contrà Goia
Era rifornita da un pozzo posto in prossimità dell’attuale strada che conduce alla corte Faggionato, ancora visibile e al servizio anche di parte dei Muraroni.
Contrà Costa
Questa popolosa contrà riesce ad ottenere un pozzo in prossimità della strada, a destra salendo, ai limiti della proprietà “Fuin”, nel settembre del 1891, dopo la decisione di realizzare l’acquedotto Piovene. L’ing. Carlo Lettre aveva nel dicembre 1887 steso una perizia ed un preventivo di spesa che contemplava l’impegno degli abitanti a lavorare gratuitamente se il Comune avesse fornito i materiali di costruzione.
Resti del pozzo di Goia
Contrà S. Valentino
Ai piedi del pendio della Costa e poco lontano dalla strada di S. Valentino esisteva una sorgente costituita da varie polle che alimentavano un pozzo ed un lavatoio pubblici. Il pozzo venne sistemato nel 1889 con il contributo di 50 lire di Antonio Pillon, allora assessore comunale.
Cerro
Esisteva un pozzo pubblico
Contrà Pidocchio
Poteva contare su un vecchio pozzo in prossimità della strada
Contrà Casetta, Canova e Vò
Gli abitanti senza pozzi andavano ad attingere acqua lungo i fossati della strada.
Erano pozzi poco profondi e scavati ancora a mano, inizialmente senza protezione. Il consigliere Filippo Maffei, infatti, non condivideva l’idea di continuare la manutenzione e la realizzazione di tali manufatti. Era convinto che fosse necessario eliminare tutti i pozzi aperti e adottare i pozzi a sistema Northon. Vale a dire un pozzo costruito con tubi di acciaio piantati nel terreno e forniti di pompa di sollevamento. A partire dal novecento il suo consiglio sarà regolarmente seguito ed applicato.
Resti del pozzo all’incrocio tra Secole e Bregolo
I POZZI PRIVATI
Essendo l’acquedotto comunale destinato a rifornire solo una piccola parte del paese ed avendo i pozzi pubblici poca acqua, la popolazione era costretta a rifornirsi di acqua potabile per gli usi domestici alle fontane più prossime alle abitazioni; ciò avveniva più volte al giorno con l’aiuto di “bigolo” e secchi di rame , a seconda delle esigenze della famiglia o del numero di persone che la componevano.
Per le famiglie più fortunate, il tragitto che separava l’abitazione dalla fonte era breve, a differenza di altre che, abitando in alta collina o comunque nei borghi più lontani, dovevano camminare anche più di un’ora per rifornirsi dell’acqua necessaria.
Il servizio era prevalentemente svolto dalle donne: occasione per queste di incontrarsi e scambiare “quatro ciacole”e, per le più giovani, d’incrociare qualche baldo giovanotto il quale, dopo vari ed attenti appostamenti, sapeva l’orario in cui solitamente la ragazza “’ndava par aqua” e poteva così avanzare le proprie promesse ed affettuosità, senza la presenza di occhi ed orecchi indiscreti come quando si trovavano nelle sere del “filò”.
Per avere l’acqua più vicina possibile alle case, molte famiglie si costruivano il POZZO PRIVATO. Individuata la zona con la “vena” dell’acqua, veniva praticato a mano uno scavo, verticalmente, a sezione circolare,fino al raggiungimento della falda acquifera: mano a mano che si scendeva, lo si puntellava con tavole ed assi per poi, una volta raggiunta la profondità necessaria,incominciare il lavoro di muratura con malta e sassi che formava la parete del pozzo fino a circa un metro sopra il terreno.
Pozzo casa Beltrame ora Sgolmin Renzo
Solitamente la parte esterna veniva ricoperta con mattoncini di cotto rosso, rifinendo poi il parapetto attorno alla bocca con una pietra detta “vera da pozzo”. Troviamo peraltro nelle ville o nelle case importanti della zona dei pozzi di pregevole fattura, abbelliti con pietra finemente scolpita, a volte riportante lo stemma araldico della famiglia che commissionava il manufatto.
La manutenzione del pozzo si effettuava ogni 3 o 4 anni, svuotandolo completamente. La persona preposta, o la più coraggiosa, si calava legata ad una corda fino alla massima profondità e, munita di pala e secchio, ripuliva il fondale dalla melma formatasi nel tempo, fino a riportare la risorgiva all’iniziale purezza.
Oltre che riserva d’acqua, nei mesi estivi, il pozzo fungeva anche da frigorifero,infatti fino agli anni ’50, prima che questo elettrodomestico entrasse prepotentemente nelle abitazioni, le famiglie proprietarie del pozzo calavano in acqua il secchio contenente i viveri da conservare per qualche giorno. Naturalmente non mancava mai il fiasco di vino per dissetare gli uomini al ritorno dal lavoro dei campi.
Il pozzo fu anche teatro di tragedie, infatti non manca il ricordo di qualche poveretto che, stanco della vita, metteva fine ai suoi giorni buttandovisi nel fondo.
ZONA GOIA
Risultano attivi : il pozzo di Tura/Binato, costruito ( pare a spese del Comune) negli anni ’30 e il pozzo di Romeo Maran. Il secondo, negli anni passati , era utilizzato quotidianamente, ma all’arrivo dell’estate si asciugava quasi completamente, erogando quel po’ d’acqua per il fabbisogno domestico ; pertanto per l’abbeveraggio del bestiame i proprietari, con una botte trainata da buoi si recavano 3 o 4 volte alla settimana al fiumicello Bartaglian, in località Molinetto, a prelevare l’acqua per gli animali. Anche allora, per poter transitare su strade comunali o provinciali, c’era l’obbligo di pagare la tassa di circolazione. L’ammontare di questa era di £ 500 fino all’anno 1952, balzando poi nell’anno successivo a £ 1000.
Il bollo era una targhetta di metallo color nichel, con impressi l’anno e l’importo della tassa dovuta, inchiodata den visibile sul carro interessato, a comprova dell’avvenuto pagamento.
Oltre a questi due pozzi ne restano altri nella zona, come il pozzetto situato all’inizio della salita che porta in via Muraroni, un altro nella corte Bedin/Giacomin/Fanela ( ora ) ; un altro in corte Marana, l’azzurra fattoria situata di fianco alla casa natale di S. Bertilla Boscardin ed ancora uno da Muraro Giovanni. Purtroppo altri sono andati distrutti; gli adulti del posto si ricordano dell’esistenza di un pozzo incorporato alla casa di Fanton e di un altro lì vicino, dove la mura di cinta, che da via Goia porta a via Scarantello, forma un’ansa.
ZONA VALLE
Arrivando da via Scarantello, subito dopo la piccola discesa che dà l’inizio a via Valle, dietro un’alta mura di cinta di sasso nero, purtroppo di recente coperta da intonaco giallo, troviamo Villa Anguissola costruita nella prima metà del ‘500.
Nel retro della villa si può ancora notare il pozzo con una monolitica “vera” risalente sempre al ‘500. Il suo degrado è inimmaginabile ed indescrivibile, volendo con un buon restauro sarebbe possibile riportarlo all’antico splendore.
Di fronte alla villa troviamo il fabbricato dell’attuale pizzeria Valle, che custodisce all’interno del suo cortile il pozzo “della Valle”, ben conservato e valorizzato da coloratissimi gerani, serve oggi ad abbellire un angolo del giardino.
Arrivati all’incrocio, girando a sinistra si incomincia la stretta salita che porta in Valle alta. A metà della via , sulla destra , un portone ad arco ribassato conduce all’interno della corte Ferretto/Potente dove anticamente si trovava l’ospedale di S. Vincenzo. Sulla parte destra possiamo notare il vecchio pozzo ricoperto di mattoncini rossi, purtroppo anche questo porta evidenti i segni del tempo.Tanti anni fa, per motivi di sicurezza, fu chiuso nell’imboccatura con una lastra di ferro dal sig. Emilio Marzari ed è ora utilizzato come portafiori.
Continuando da Valle alta verso la chiesa, in località Secole, ora via Zanella, troviamo il castelletto Dal Molin (ora Dal Monte) che custodisce all’interno del parco un bel pozzo con ancora l’originale carrucola.
Proseguendo per le “Secole” arriviamo nel piazzale antistante la Chiesa Parrocchiale di S.Michele Arcangelo: sul retro si nota l’elegante villa Veronese detta “la Vescova”, donata di recente dalla signora Antonietta Veronese al Vescovo di Vicenza mons. Pietro Nonis. Viene ricordato, di fianco al portone, un pozzo del quale possiamo ammirare solamente la “vera” , posta ad abbellire il giardino.
Scendendo dal piazzale della chiesa, in via Roma, sulla destra è ben visibile dalla strada il pozzo di casa Beltrame ora Sgolmin.
Sempre nella zona di Valle, risultavano esistere i seguenti pozzi:
uno vicino all’attuale negozio alimentari Volpato Renzo
uno in corte Dal Monte Giovanni (ora Pretto/Nicoli)
uno in corte Molon.
ZONA CANTARELLA
Venendo dall’incrocio di Orna,continuando per via B. Croce, all’altezza del panificio Castegnaro, troviamo sulla sinistra via Cantarella: uno stretto rettilineo che porta alla settecentesca villa Ferramosca ( ora Volpato). Entrando dal portone in ferro , subito sulla sinistra, immerso nel verde, possiamo ammirare l’originale pozzo in ottimo stato di conservazione; un secondo fu costruito per le necessità dell’attigua foresteria e si trova sotto il portico, ben visibile ed è utilizzato dagli attuali proprietari i sigg.ri Tonnellotto.
ZONA REVESE
L’unico pozzo rimasto in questa zona lo troviamo nella corte della villa Pigatti ( ora proprietà Ghiotto e Pertile), dislocata questa di fronte alla Chiesetta dell’Annunciata , che è la testimonianza più autorevole della più vasta Villa Revese .
Si può ammirare lo splendido manufatto nei pressi del portico che dà accesso alle stalle: è in pietra scolpita ed ha ancora l’originale carrucola; è utilizzato attualmente per l’abbeveraggio del bestiame.
Nella zona risultavano esistere i seguenti pozzi:
uno in cortile del Torrione Revese
uno in corte Bozzetti ( demolito per far spazio all’ attuale edificio della Cassa Rurale ed Artigiana)
uno in corte Biasin ( demolito nel 1974 per costruire Piazza Mercato e gli edifici che la circondano).
Pozzo casa Pertile
ZONA S. VALENTINO
Essendo la zona ricca di fontane e sorgenti, quindi ben servita d’acqua, i pozzi costruiti furono solamente quattro. Passato l’incrocio di via S.Valentino ed iniziata la salita di via Isonzo, troviamo sulla sinistra una stradina sterrata, immersa nel verde, che porta alla corte dei fratelli Armando e Marino Bon. Poco prima dell’abitazione, sulla destra, si vede il pozzo di famiglia costruito dal nonno Luigi nel 1910. Dopo vari ed inutili tentativi per individuare la falda acquifera, il sig. Bon chiese aiuto ad Antonio Boeche ( Toni Pajeto), rabdomante della zona che, aiuta to dalla fatidica bacchetta, consigliò di scavare in un determinato punto. Realizzato il faticoso scavo, arrivati ad una decina di metri di profondità senza alcun esito, non vedendo traccia d’acqua il sig. Luigi, deluso, decise di sospendere l’immane lavoro ma ad un tratto si fermò e, senza respirare, accostò l’orecchio al terreno, sentì un leggero mormorìo, forse era solo un sogno o un grande desiderio. Preso dalla curiosità si mise a rompere la crosta della terra sotto ai suoi piedi con il tacco delle “sgalmare”e, come d’incanto, ecco zampillare una piccola sorgente da una cavità rocciosa; così, per la felicità della famiglia e per le esigenze quotidiane, completò la costruzione del pozzo. La portata d’acqua è di modeste proporzioni , ma costante in ogni stagione.
Un secondo pozzo lo troviamo nel cortile di casa Zaccaria, in via Costa ora via Piave; pur essendo in discrete condizioni di conservazione, non viene per il momento utilizzato in quanto la casa è da tempo disabitata. Il complesso è attualmente in fase di restauro, pertanto auspichiamo che anche il pozzo possa avere degna considerazione.
Il terzo pozzo lo troviamo proprio all’incrocio di S. Valentino, dove la casa Pillon fa angolo. Entrando dal portone, subito sulla destra, possiamo ammirarlo, bellissimo, ancora con la carrucola originale. Il periodo di costruzione risale al 1868 però, a detta di esperti, la “vera da pozzo” è di gran lunga antecedente a questa data ( molto probabilmente serviva già da copertura ad un pozzo preesistente.
Il quarto lo troviamo nella corte Girotto (ora Bedin), di questo rimane visibile una rudimentale struttura costruita ai margini tra la collina ed il cortile. Non più utilizzato né valorizzato, ricorda solamente a chi lo può vedere la sua preziosa e necessaria funzione.
Pozzo alla Canova
ZONA PEDOCCHIO
All’incrocio del Pidocchio prendendo la strada che porta a Montebello troviamo , subito sulla destra casa Gonzati., vecchia pertinenza di villa Scroder. Vicino al porticato ed alle stalle fa bella mostra di sé il pozzo. Restaurato negli anni 90 da Sebastiano Bedin, meglio conosciuto come Bastian Macia. Curiosa ed alquanto ingegnosa la forma della vera che presenta un’insolita protuberanza nella parte destra, uno scolo o piccola condotta per far defluire l’acqua su recipienti sottostanti o forse per alimentare un “albio”. La profondità del pozzo è di 20 metri. Un secondo pozzo si può vedere vicino al portico di casa Marana Bruno. Un giro di mattoncini ci segnala, appena sopra la terra, la presenza della preziosa acqua, ancor oggi utilizzata per vari usi dai proprietari.
ZONA S. VITO
Nella parte alta di S. Vito, in zona Arcisi, ai confini con il comune di Grancona, proprio a delimitare la proprietà tra un comune e l’altro troviamo il pozzo sociale costruito nel 1929 profondo 30 metri.Guardando verso la pianura si può infatti notare un piccolo manufatto di sassi. All’apparenza potrebbe sembrare un “casotto”, un piccolo ricovero per gli attrezzi, invece all’interno troviamo il pozzo che venne scavato a mano da vari abitanti del luogo tra i quali Bertoldo Emilio, Luigi, Oreste ed altri, mentre la parte muraria venne fatta da Marchesin Bonaventura.
ZONA VO’
Nella villa Maffei, ora Matteazzi il pozzo era veramente l’unica fonte di acqua potabile nel passato. Il pozzo in mattoni sporgeva di un metro dal terreno, sormontato da una vera e con una corda fissata ad un cilindro su supporti metallici era azionato da una leva a mano .
Il pozzo in villa Rossi venne costruito negli anni trenta ed è profondo trenta metri. Il lavoro venne eseguito da Danne Pietro che vi pose anche una scaletta in ferro ed una pompa per spingere l’acqua fino ad un serbatoio nel granaio della villa.
Pozzo Maffei ora Matteazzi |
Pozzo presso Pizzeria Valle |
I LAVATOI
I lavatoi (lavandari) vennero costruiti in varie epoche nelle località dove esistevano delle sorgenti naturali o piccoli torrenti, come la fontana dell’Orco, dei Valentini a S. Vito e la fontana del Lavo nella Contrà omonima e a S.Valentino, al Capitello al Monterosso, alimentati da torrentelli. Gli ultimi sono stati costruiti dal comune di Brendola negli anni 60 circa per dare la possibilità alla maggior parte degli abitanti che non potevano ancora usufruire dell’acquedotto, soprattutto in collina, di poter lavare i panni in un posto più vicino alle loro abitazioni. Il lavatoio è costruito in muratura ricoperto da uno strato di cemento ben levigato, per lo più di forma rettangolare, alto circa un metro, da un lato e talvolta anche da tutti e due era posto il lavatoio inclinato verso la vasca, sempre in cemento o, per i più antichi, in pietra levigata e le lavandaie restando in piedi da dietro, lavavano e sbattevano i panni e le lenzuola. Queste vasche sono state costruite per la maggior parte vicino alla strada e a valle di una sorgente. Il trasporto degli indumenti e lenzuola dall’abitazione al “Lavandaro” era fatto , per la maggior parte, con la carriola o ‘cariolon’, quest’ultimo era un po’ più grande e con la sola sponda sul davanti, qualcuno adoperava il carrettino trainato da un asinello. Se la strada era un po’ lunga e in collina, qualche signora si faceva aiutare dai figli, allacciando una corda alla carriola e facendosi tirare.
Monte Rosso: lavatoio e abbeveratoio
Adiacente al lavatoio, in alcuni casi era costruita un’altra vasca più piccola che serviva per risciacquare i panni e anche per abbeverare gli animali ( mucche, asini e cavalli) i quali venivano portati al mattino e alla sera. Il lavoro della lavandaia iniziava il giorno o la sera prima quando si andava con la scopa a pulire la vasca dopo averla svuotata dall’acqua, levando un tappo che si trovava in un angolo del fondo, pulendola per bene dalle erbe , muschi e terra o sassi che si depositavano sul fondo durante le piogge. Al mattino seguente si trovava la vasca piena d’acqua limpida, pulita e con “buschetto e saon “si incominciava a lavare. Spesso il sapone era fatto artigianalmente in casa. Si otteneva facendo cuocere in un paiolo grassi di scarto di animali assieme a soda caustica; la “polenta” così ottenuta veniva rovesciata su di un tavolo e lasciata raffreddare. Si toglieva poi lo strato inferiore, ricco di scorie, e si tagliava quello superiore a pezzi, che venivano poi messi ad asciugare. Tale sapone era usato anche per la pulizia personale. Il “bruschetto” era una spazzola di saggina con l’impugnatura di legno di forma ovale. Ritornando alle lavandaie, qualche volta nasceva qualche diverbio sia per il numero eccessivo sia per la mancata partecipazione di qualcuna alla pulizia della vasca del giorno prima, ma il più delle volte era un’occasione per potersi parlare; “FARE COMARENGO” della vita quotidiana e scambiarsi opinioni e consigli in animata allegria o mettersi a cantare canzoni popolari.
Lavandaro del Lavo
Dopo aver lavato e strizzato bene, arrotolando strettamente le lenzuola in modo di far uscire più acqua possibile, tutti i panni venivano ricaricati sulla carriola e portati a casa dopo mezza giornata di lavoro.
I lavandari erano anche usufruiti dai ragazzi che nella stagione estiva andavano a sguazzare e a rinfrescarsi dalla calura
Denominazione |
Alimentato |
Esistente |
Famiglie e contrà servite |
Lavo (C. Lavo) |
Sorgente |
Si |
C.Lavo- C.Chiesa – C.Castello |
Da Fusari (V. Roma) |
Sorgente |
Si |
V. Roma – V.Tovo |
Monti Comunali |
Sorgente |
Si |
F.Muraro- F. Nicoletti (ora Rasia) F. Bioti |
Valente |
Sorgente |
No |
F.Valente- f. Da Soghe – F.Noro |
Noro (V. Pasubio) |
Ruscello |
Si |
F. Noro – F. Bisognin |
C. Costa ( V. Piave) |
No |
F. Cavalcante – F. Squarquara – F. Dalle Nogare – F. Rigolon – F. Malacchia – |
|
F.Castegnero (V. Pasubio) |
Si |
F. Castegnero – F. Noro – F. Tommasi |
|
Scaranto Palina |
Scaranto |
No |
F. Bisognin – F. Menon – F. De Santi – F. Rigolon |
Da Pippo Bisognin |
Scaranto |
F. Zordan – F. Frigo |
|
Al Molin (S. Valentino) |
Scaranto |
Si |
F. Menon – F. Converti – F. Lovato – F. Dalle Nogare – F. Bramiti |
C. Guarenti (V. Ortigara) |
Scaranto |
No |
F. Castegnaro – F. Cenghialta – F. Nicolato – F. Casolin – F. Bolzan |
Al Monte Rosso |
Scaranto |
Si |
C. Monte Rosso – C. Grotte – F. Allo – F. Frigo – F. Todesco |
C. Colombara (V. Dante ) |
Vena |
||
Al Capitello (V. Monte Rosso ) |
Vena |
Si |
F. Marzari – F. Panozo – F. Graser – F. Romio – F. Marchetto |
Dai Lovati (S. Valentino ) |
Vena |
F. Lovato – F. Bon – F. Cielo |
|
Da Carradore Ex Girotto (V. Marzari) |
Sorgente del Lavo |
Si |
Privato |
In Valle |
Scaranto Spesse |
No |
C. Valle ( Zona Pizzeria) |
In Valle |
Fontana Pissarotto |
No |
C. Valle (Zona alimentari Volpato) |
V. Scarantello |
I Fontanili |
No |
C. Scarantello |
Goia |
Lungo il Fiumicello |
No |
Goia |
Cerro |
Angolo V. Dante V.4 Novembre |
No |
|
S.Valentino |
C. Pillon |
Si |
F. Pillon – F.Panozzo – F. |
V. Casavalle |
Lungo il Braggio |
Si |
C. Casavalle |
V. Molinetto |
Lungo il Fiumicello |
Tavola |
C. Goia |
Vo’ |
Lungo il Fiumicello |
Tavola |
C. Vo’ |
Vo’ (V. Verdi) |
Davanti a Villa Rossi – Bonamin |
||
S. Vito (V. S. Vito) |
Fontana |
Lavatoio |
C. S. Vito |
Dell’Orco (V. S. Vito) Batocchi |
Fontana |
Lavatoio |
C. Arcisi |
Valentini (V. S. Vito) |
Fontana |
Lavatoio |
C. Arcisi |
Canova |
Lungo la roggia Romero |
Tavola |
C. Canova |
C. = Contrà F. = Famiglie
LE POMPE
Le pompe idrauliche venivano impiegate per prelevare l’acqua sottostante tramite un tubo di lunghezza variabile, a seconda della profondità dove si pescava l’acqua o da qualche vasca di contenimento proveniente da qualche sorgente o da un deposito di acqua piovana.
Pompa del pozzo della Madonna dei Prati
Queste pompe a stantuffo, costruite in ferro o ghisa sono formate da un corpo cilindrico di circa 15 cm di diametro nel quale scorre all’interno uno stantuffo azionato da una leva a mano lunga circa 1 m che alzandola aspirava l’acqua e abbassandola la scaricava verso l’esterno. Le pompe venivano installate dove non esistevano i pozzi tradizionali,( quelli rotondi, in muratura e con la ghiera sopra) e in epoca relativamente recente, agevolando e riducendo molto la fatica che si faceva a prelevare l’acqua dal pozzo, nel quale bisognava calare un secchio legato ad una corda o catena nel fondo e dopo averlo riempito tirarlo su con forza e fatica. Di queste pompe ne esistono tuttora qualcuna: una era posta nelle vicinanze della Chiesa di S. Michele a fianco della cancellata della Vescova che serviva la contrà Chiesa ed è stata eliminata negli anni 60. In antico esisteva un pozzo tradizionale poi venne eliminata la parte superiore per dare più spazio all’incrocio e venne sistemata la pompa.
Una pompa si trova all’incrocio tra via Zanella e via Fogazzaro nell’avvallamento fra le due strade (ex via Secule): è ancora visibile, ma non funzionante.
In contrà Valle in via Lamarmora a fianco del negozio di alimentari Volpato, c’era la fontana del Pissarotto con lavandaro e relativa pompa.
Alla Madonna dei Prati, davanti alla chiesa esisteva una pompa dove sgorgava un’acqua buona, tanto che molte persone del paese andava con i recipienti a prelevarla e portarla a casa per bere. Ora é stata chiusa.
In piazza Marconi al Cerro la pompa era situata all’inizio di V. Dante di fronte al bar “La Banda” dove si nota ancora l’incavo poi chiuso.
Pompa del pozza Scarantello
Un’altra si trova in contrà Goia, all’inizio della strada dei Muraroni poco al di sopra della casa Cenghialta (detto Fanela) sopra il pozzetto esiste ancora il pilastro di sostegno in mattoni.
Un altro pilastro di mattoni si trova nella strada dei Monti Comunali, a metà strada tra le case Rasia e Muraro, dove si nota anche la vasca sottostante e alla parte opposta della strada esiste un piccolo lavatoio in parte rovinato.
A Vo’ nel centro storico, nella piazzetta di fronte alla pizzeria Pretto, esisteva una pompa, questa però era azionata da una ruota in ghisa che girandola, tramite un collo d’oca, faceva la stessa funzione della leva.
Una serie di pompe si trovavano e se ne trovano ancora adesso, lungo la strada della Casetta a Canova fino alle Rondole: (dai Latari, dai Cavaggion, dai Bei, dai Gasparoni, dai Pilla, dai Beltrame, ecc).In queste zone, essendo in pianura ricca di acqua e sorgenti, bastava piantare un tubo nel terreno a una modesta profondità e allacciarlo alla pompa. Attualmente ne ho contate cinque.
Successivamente con l’avvento degli acquedotti che portano l’acqua in tutte le abitazioni, queste pompe andarono in disuso.